Gli angeli zappano per te

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15 maggio – Sant’Isidoro lavoratore, contadino col pilota automatico (1070-1130)

[2013]. Un altro Isidoro; questo non si nasconde in remoti conventi, non soffre di misteriose patologie e non inventa Internet; al limite può essere considerato il primo utilizzatore di un pilota automatico, perché è sostituito nelle sue incombenze da un angelo che si mette a zappare quando Isidro ha bisogno di pregare; e ne aveva bisogno spesso, essendo un santo.

Isidoro il contadino viveva con la moglie, Maria Toribia (beata, patrona dei lavori domestici) nei pressi di Madrid, cittadina araba riconquistata di fresco da sovrani cristiani, che mai avrebbe sospettato di trovarsi al centro di una nazione molto di là da essere disegnata sulle cartine, la Spagna. Colleghi invidiosi notano la sua abitudine ad assentarsi spesso dalla postazione di lavoro; se ne lamentano con il boss, ma questi constata che a parità di salario la produttività di Isidro è superiore a quella dei compagni. Miracolo! O più semplicemente Isidro ha scoperto le virtù rigeneranti del break, quattro secoli prima dell’introduzione del caffè nella penisola iberica.

Perciò Sant’Isidoro l’agricoltore è anche il vostro patrono in questo esatto momento, cari internauti che senza nessuna necessità al mondo siete venuti a vedere se c’era qualcosa di nuovo da leggere qui: e ve la meritate, lettori in pausa caffè, senza di voi nessuno avrebbe mai inventato l’internet; che consta al 70% di siti frequentati da gente che procrastina impegni professionali mentre sorbisce bevande calde. E fate bene, sarete molto più produttivi dopo che vi sarete rilassati un po’. Ma facciamola comunque corta – l’angelo ha detto che vi copre altri due minuti, non di più.
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Matteo Renzi, l'uomo del Vaffanbagno

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Io credo che se cinque anni fa avessimo chiesto ai sostenitori del neonato Movimento Cinque Stelle "che cosa vuoi davvero"? pochissimi avrebbero risposto "Beppe Grillo al governo". Nemmeno Beppe Grillo avrebbe detto una cosa del genere.

Molti avrebbero risposto, invece: "chiudere Equitalia": e Grillo tra loro.

Il Post
E quindi oggi chi deve festeggiare: Matteo Renzi che governa e si prende la responsabilità di politiche non sempre popolari, o Beppe Grillo che senza sporcarsi le mani ottiene quello che Beppe Grillo per primo ha desiderato e formalizzato in una richiesta? Equitalia è solo un nome; alcuni debiti restano, altri Renzi li condona per motivi elettorali che non scandalizzano nessuno. Ma "chiudiamo Equitalia" era uno slogan, e chi l'ha coniato ha evidentemente conquistato l'egemonia nel dibattito politico.

Perché perder tempo a governare quando puoi ispirare l'azione di governo a distanza, da un blog, e tirare pure un po' di soldi coi banner? Grillo dice: abbasso la casta! e Renzi s'ingegna a ridurre i parlamentari. Grillo tuona contro le auto blu, Renzi le requisisce e le mette all'asta su eBay. Grillo richiama l'attenzione sul fatto che molta gente è costretta a pagare gli interessi sui debiti, e Renzi provvede. Grillo ottiene quello che domandava e Renzi forse vincerà il referendum che gli preme tanto: ma con che faccia viene a proporsi come alternativa all'antipolitica? Perché non dovremmo considerarlo, piuttosto, un grillino dal volto umano? Uno che dal movimento del Vaffanculo ha preso due o tre istanze che funzionavano, le ha moderate aggiungendo qualche spezia progressista o liberale, e con questo polpettone prova a vincere, anche lui, un po' di elezioni?

Certo, "Bye bye Equitalia" suona molto meno truce di "Chiudiamola". In parrocchia, da bambini, non volendo offendere troppo il nostro interlocutore (e non sapendo ancora molto di sodomia), a volte dicevamo "vaffanbagno". Matteo Renzi è un po' così, uno che cerca di combattere il Vaffanculo col Vaffanbagno. Magari funziona.
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L'anno che ci colpì in testa

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Nel gennaio del 2014 Pierluigi Bersani fu ricoverato - emorragia cerebrale. Tutto sommato gli andò bene, e un mese dopo era già in grado di votare la fiducia al governo Renzi. In aprile fu Gianroberto Casaleggio ad accusare dolori al capo. Anche lui prontamente operato per un edema, anche lui sembrò rimettersi. Bersani è del '51, Casaleggio del '54. Entrambi venivano da un anno molto complicato: la campagna elettorale, la crisi al buio, la sofferta rielezione di Napolitano, la tremolante parabola del governo Letta. In mezzo a tutto questo, la trasformazione del M5S da movimento di opinione a principale forza d'opposizione parlamentare, con le inevitabili defezioni ed estromissioni.

Per la Z era forse previsto
un secondo volume (zuzzurellone!
zimbello! zozzo!)
A distanza di qualche anno forse cominciamo a dimenticarci di quanto fu pesante il 2013. Lo fu per me, che avevo un posto fisso e scribacchiavo - lo fu senz'altro molto di più per personaggi pubblici e leader che si trovarono, contemporaneamente, alla berlina sui media, e soli davanti alle decisioni più importanti. Non è così assurdo ipotizzare che lo stress pre- e post-elettorale sia stato una delle cause del malore di Bersani: e Casaleggio forse negli stessi mesi era sottoposto a una tensione ancora maggiore. In più, doveva far fronte alla curiosità faziosa dei media: un'esposizione a cui Bersani era abituato per formazione, mentre per un consulente-imprenditore come lui si trattava di una relativa, e sgradita, novità.

Certo, Beppe Grillo la taglia un po' troppo semplice quando dice: l'avete ammazzato voi giornalisti. Ed è abbastanza indicativo che di fronte all'intrusione dei media, il cosiddetto guru delle nuove tecnologie abbia reagito alla vecchia maniera, accumulando querele. Diciamo che trasformare un'idea un po' vaga di democrazia dal basso in quella macchina da guerra che è diventato il M5S richiedeva uno sforzo di energia che qualcuno ha pagato. A un certo punto anche Grillo si sentiva "stanchino": Casaleggio era già stato operato almeno una volta. La politica è sangue, sudore, riflessi nervosi, materia cerebrale. I giornalisti certo non usano i guanti, ma in generale è il pubblico che non ha pietà. Io perlomeno nel mio piccolo non ne ha avuta, e lo sfogo di Grillo un po' lo capisco.
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Ja, Sie werden durchkommen (Sì, passeranno)

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Cari eventuali lettori austriaci: ho scoperto in questi giorni, come tutti, che il vostro governo ha pensato di risolvere una futura emergenza migranti alzando un muretto di 250 metri al Brennero.

L'affetto che provo per la vostra bella terra e per voi non mi impedisce di domandarvi: ma voi sul serio ci credete ancora a questa cosa di essere austriaci, che a Robert Musil sembrava un anacronismo già nel 1919? È che ne conosco parecchi a cui sta stretta l'Italia o persino l'Europa: possibile che a voi calzi ancora bene un concetto come l'Austria - per carità, comodo, confortevole, heimlich, ma insomma - pensate solo alle autostrade. È da un po' che si usano. Non ce n'è neanche una diretta tra Innsbruck e Vienna. Si passa, come sapete, dalla Baviera. Lo spazio di Schengen lo avevamo inventato anche per superare questa sciocchezze - voglio dire, due frontiere per andare dal Tirolo a Salisburgo? Sul serio vorreste tornare a un'Europa così?

La seconda è: avete sentito parlare di Mouaz Al Balkhi e Shadi Kataf? In caso contrario vi rimando a Mazzetta. Per farla breve è la storia di due profughi siriani che dopo qualche mese d'attesa nel limbo di Calais, non avendo abbastanza fondi per pagare qualche scafista che li portasse in Inghilterra, si sono comprati due mute da Decathlon e hanno provato a farsela a nuoto. Da Calais a Dover. Il cadavere di uno dei due lo hanno trovato in Olanda, l'altro in Norvegia. Storia abbastanza agghiacciante.

Ora, ditemi voi.

La disperazione che porta un giovane siriano a tuffarsi nella Manica e a tentare di attraversarla a nuoto, qualcuno sul serio pensa di contrastarla con un muretto di 250 metri in fondo al valico? È vero, è gente che non ha mai visto le Alpi.

Ma hanno visto di peggio. Si conteranno i soldi in tasca, magari compreranno un paio di scarponi allo Schoelzhorn Sport, saranno a Gries prima che canti il gallo. Di lì è tutta discesa fino a Schönberg. Se ce l'ha fatta Annibale, credete di fermarli?
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A governare comincia tu

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A pochi mesi dalle tormentate dimissioni di Ignazio Marino - il sindaco a cui si imputavano scontrini sospetti e parcheggi in divieto di sosta - il centrodestra sta pensando di candidare Guido Bertolaso, che risulta tuttora iscritto nei registri di alcune procure. Poi per carità, su questo blog sono tutti innocenti fino al terzo grado - Bertolaso semmai si può criticare per come ha gestito diverse emergenze, in modo magari non illegale ma abbastanza disastroso - e comunque non è senz'altro il candidato peggiore che si poteva trovare, anzi.

Però sul serio i romani di centrodestra se lo voteranno? Un tizio che si porta con sé già gli scandali pregressi, uno che dopo qualche mese o anno al Campidoglio potrebbe essere processato per omicidio colposo? Possibile che Forza Italia e compagnia non riescano a trovare un nome un po' più credibile, votabile? Perché a questo punto danno veramente la sensazione di tirare a perdere. Dopotutto Roma ormai è un tale caos, forse è meglio chiamarsi fuori. Come sta facendo ormai da anni il Movimento 5 Stelle coi suoi candidati qualunque.

Sul finire del secondo anno di Renzi, gran parte dell'arco parlamentare sembra intento a mettere in scena l'opposizione, più che a praticarla davvero. A volte mi domando se non ho sottovalutato il tizio: più probabilmente stavo sopravvalutando i suoi avversari, e la loro determinazione a batterlo, sbandierata a parole, negata dai fatti. Non ho altro di intelligente da aggiungere, per cui mi cito: "Non siamo in uno di quei momenti storici in cui il popolo intravede in un individuo il concretarsi del destino collettivo. Piuttosto in uno di quei secoli bui in cui il potere è un po' di chi se lo piglia, di chi passava nel palazzo in quel momento in cui i pretoriani fanno fuori il Cesare pazzo e nessun altro accetta di farsi acclamare".
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Aspettarsi corerenza da Beppe Grillo

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(L'hanno presa bene)
Non so se qualcuno ha già notato il paradosso: da una parte c'è un politico (Beppe Grillo) che ha sempre creduto nel vincolo di mandato, che ora chiede ai senatori del suo partito di "votare secondo coscienza"...

...e dall'altra ci sono i suoi detrattori, che invece nel vincolo di mandato non ci hanno mai creduto - e più volte hanno difeso il principio per cui i senatori del M5S non sono i pigiatasti del privato cittadino Beppe Grillo - e adesso se la prendono con lui. Che ha fatto? Ha chiesto ai parlamentari del suo partito di votare secondo coscienza.

E dunque come funziona questa cosa di rinfacciarsi la coerenza? Ok, Grillo è incoerente, ma chi lo critica non lo è in eguale misura? Forse alla fine ci appassioniamo di politica proprio perché è un gioco di specchi. Le questioni di principio diventano questioni di metodo, i metodi materia di compromesso, i compromessi petizioni di principio, e così via, all'infinito.

Cosa vorresti domani? Un'Italia un po' più civile in cui gli omosessuali possono farsi una famiglia. Servirebbe una maggioranza di sinistra - non c'è. Possiamo offrire ai centristi un po' di sottosegretariati e confidare nella coerenza di Beppe Grillo. Sulla seconda cosa spero nessuno facesse davvero affidamento.
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Emiglio è ancora meglio?

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Secondo me è andata così: a metà anni Novanta qualcuno alla Giochi Preziosi scrisse un numero sbagliato su un documento. Una virgola spostata, o uno zero in più. Cose che succedono.

Il risultato è che il signor Preziosi ha capannoni dismessi pieni di Robot Emiglio, e continua a comprare spazi pubblicitari sotto le feste per ricordarci che Emiglio è meglio. Lo stesso spot (non questo) da dieci anni. Lo stesso robot di plastica che andava ai tempi della Fiat Tipo. Stavano sostituendo i telefoni a gettone coi telefoni a schede magnetiche. Se siete passati per qualche negozio di giocattoli sotto le feste avrete visto uno dei simboli del lato oscuro del Natale - la piramide degli scatoloni di Robot Emiglio. Costa pure un sacco di soldi.

Voi però nel negozio ci andavate per cercare i Paw Patrol.

Non li ha promossi nessuno. Sono introvabili. Quando arrivate alla corsia giusta, tra l'oggettistica dell'orsetto Paddington e il merchandising di Peppa in offerta speciale da due anni, c'è il classico buco. Sono gli animaletti di Paw Patrol. Nessuno intendeva venderteli a Natale. Poi Cartoonito aveva un buco nel palinsesto e lo ha riempito con le repliche del simpatico cartone animato in cui i cuccioli forniscono servizi socialmente utili in cambio di crocchette.

E adesso Skye è introvabile.

Skye è la cucciola che pilota l'elicottero - è anche l'unica di cui si può desumere il sesso femminile (secondo me è femmina anche il dalmata pompiere, ma non è chiaro). Il lupetto poliziotto e il bulldog cantierista te li tirano dietro, ma Skye non si trova. Tutti i negozi di giocattoli di tre popolose province italiane. Amazon. Ebay. Niente. Santa Lucia non ce l'ha fatta, e ha passato la pratica a Babbo Natale. Babbo Natale ha chiesto alla Befana. La Befana ha proposto uno sconto sul robot Emiglio.

(E anche queste feste ce le siamo messe alle spalle. Sarà un grande 2016).
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L'anno che Valentino ha perso contro uno, boh, con una moto.

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Fatevi passar la rabbia, perché meglio di così davvero non poteva andare. Valentino Rossi ha vinto nella sua carriera non so quanti mondiali di cui a me, e a milioni di persone come me, non è fregato niente.

Oggi invece ha perso, partendo in fondo allo schieramento a causa di una penalizzazione di cui si è parlato molto ma di cui non mi era fregato niente fino a oggi, quando ho visto Valentino Rossi risalire dieci posizioni senza farsi prendere dalla rabbia.

Quando poi l'ho visto perdere lo stesso ho sentito qualcosa; mi sono sorpreso a sperare che in questo periodo Valentino Rossi abbia risolto le sue pendenze col fisco, non solo perché per la prima volta nella vita ho tifato Valentino Rossi - non sarebbe la prima volta che tifo uno sportivo non irreprensibile - ma perché nei prossimi giorni mi potrebbe capitare di tirarlo fuori coi ragazzini, Valentino Rossi, come esempio di vita o perlomeno di carattere, come esempio di come certe volte si vince anche quando non si vince, e viceversa. Del resto domattina sarà difficile parlare d'altro.

Ma ho la sensazione che ne parleremo anche tra un anno, e tra dieci, e quando ormai nessuno si ricorderà più bene quanti motomondiali ha vinto Rossi, ma ci ricorderemo di quello in cui è stato in testa alla classifica fino all'ultima gara, e ha perso contro uno di cui nessuno si rammenta più il nome.

Io perlomeno me lo sono già dimenticato, e anche voi dovreste.
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Assolto per non aver commesso un fatto interessante

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Se Erri De Luca non va in galera, siamo tutti contenti. Se lui nel frattempo si richiama a Mandela e Gandhi, non si può fare a meno di notare che loro in prigione ci hanno passato degli anni, proprio perché incitavano alla rivolta contro regimi repressivi.

Se De Luca sostiene che l’Italia odierna sia un regime analogo; che il potere asservito al profitto rubi la terra e l’acqua agli abitanti; e che sia giusto pertanto ribellarsi e sabotare... se la pensa così, potrebbe persino aver ragione, ma a questo punto in galera dovrebbe volerci andare volentieri proprio proprio come ci entrava Gandhi; il quale mai si sarebbe spinto a cavillare, come l’avvocato di De Luca, sull’accezione più o meno estesa del termine "sabotare". Perché insomma, questo Stato repressivo che condanna uno scrittore per le sue opinioni, in Italia almeno da questa sentenza non risulta. De Luca ha fatto bene a difendersi, ed è comprensibile che festeggi: ma in cuor suo dovrebbe essere deluso.

Io invece sono perplesso. Sabotare un cantiere è un reato? Pare di sì. Incitare a commettere un reato non è istigazione a delinquere? Non in questo caso. Quando usciranno le motivazioni della sentenza, le leggerò. Per ora l'unica ipotesi che mi viene in mente è quella triste del buon senso; il giudice potrebbe aver concluso che nessuno al giorno d'oggi si arma di martelli e tronchesi per aver letto un testo di Erri De Luca. Più che l'innocenza di uno scrittore, la sentenza ratificherebbe lo scarso credito della sua professione, la letteratura.
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L'UE è un'enorme Padania

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Che la vicenda greca sia stata una sconfitta per l'Europa può anche essere possibile; trovo più difficile considerarla una sconfitta della democrazia, colpita al cuore da tecnocrati, banchieri, economisti, eccetera. Scusate se da qui sembra proprio l'opposto: c'è fior di tecnocrati ed economisti che parla ormai da anni della necessità di condonare i debiti alla Grecia - del resto chi mastica un po' d'affari sa da sempre che la bancarotta fa parte del gioco del debito e del credito; per tacere della necessità geopolitica di non creare altre turbolenze nel Mediterraneo. Fosse stato per il Fondo Monetario Internazionale, o per i vertici Nato, i greci da questo tunnel sarebbero già fuori da un pezzo. Non è un malvagio ministro delle finanze tedesco a voler la Grecia fuori dall'Euro: è la maggioranza degli elettori tedeschi. E baltici. Se non carpatici. E questo, mi rendo conto, è uno choc.

Lo è almeno per molti della mia generazione, che guardavano all'Europa come all'orizzonte di fuga dal bassissimo livello della politica italiana. Per anni abbiamo invocato un'Europa che ci salvasse dalla grettezza dei parvenus leghisti, e oggi scopriamo che a nord della Padania non c'è necessariamente più welfare e libertà, ma una Padania altrettanto gretta e parvenue, moltiplicata per venti. La retorica contro il sud fannullone e parassita la conosciamo bene; l'ansia dei popoli appena approdati al benessere occidentale, che sospettano di poterlo perdere da un momento all'altro, non dovremmo faticare molto a capirla. A non volere un'Europa unita nella buona e nella cattiva sorte non sono tecnocrati e banchieri - ai quali anzi si può rimproverare di aver fatto un passo più lungo della gamba, mandando avanti una moneta unica nella speranza che creasse le premesse per qualcosa di più solido - ma gli europei. Non tutti, no, ma la maggioranza. Quella che in democrazia decide, ahinoi.
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L'europistola alla parete

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Di economia capisco poco, a differenza di tutti a quanto pare. Quello che sta succedendo purtroppo continua a sembrarmi ragionevole non già da un punto di vista finanziario (ci perderemo tutti) o men che mai strategico (sembra che abbia prevalso l'autolesionismo), ma ahinoi, narrativo. Il Grexit è la famosa pistola appesa alla parete nel primo atto, che nel secondo qualcuno fatalmente impugnerà, sennò che storia sarebbe. Non già i greci, che pure qualche tendenza suicida l'avevano mostrata, ma - colpo di scena - i tedeschi. Dietro di loro, gli europei più giovani e affamati, meno propensi a comprendere la tragedia di una nazione che ha vissuto per decenni al di sopra delle proprie possibilità.

Dire che questa è la fine dell'Europa mi sembra un po' ingiusto: per quanto l'ultimatum alla Grecia (75 anni dopo il nostro) possa risultare disastroso, è una delle scelte maggiormente condivise che i dirigenti europei abbiano preso. Si tratta semplicemente di un'Europa molto diversa da quella che avevamo immaginato: a trazione centrosettentrionale, con a disposizione ancora qualche serbatoio di manodopera sottosviluppata nelle nuove province ad est. Il mediterraneo avrebbe ancora un'importanza strategica, ma vallo a spiegare ai politici (e ai loro elettori). Vista dalle pianure baltiche, la Grecia deve sembrare un pastrocchio piccolo e sacrificabile.

L'Italia - si spera - sarà un'altra faccenda: però a questo punto possiamo aspettarci davvero di tutto. I nostri rappresentanti hanno seguito tutta la cosa con la consueta superficialità e mancanza di visione: ma prendersela con loro è già un morsicarsi i codini sulla via verso il mattatoio. Con questi tedeschi (e lettoni, e finlandesi, e slovacchi, ecc.) non ci avrebbe salvato un De Gasperi: Renzi evidentemente non lo è.
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È facile confonderli

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Quindi quelli erano…
“La concorrenza”.
“I comunisti”.
“Una specie”.
“Non li immaginavo... così”.
“Erano giovani”.
“E niente bandiere”.
“Così è facile confonderli”.
“Avete visto cosa hanno fatto… mi hanno circondato e... hanno tirato fuori quegli affari”.
“Gli smartphones”.
“Proprio come se fossero i nostri. Non me lo sarei mai immaginato”.
“Che immaginava che sarebbe successo?”
“Non so. Un lancio di monetine. Una statuetta sui denti”.
“I tempi sono cambiati”.
“E invece sono venuti a farsi il selfie. Cosa sta succedendo?”
“Non se la prenda troppo, Presidente”.
“Domani tutti mi prenderanno in giro perché non so riconoscere la mia gente, mi daranno del vecchio rincoglionito. Ma cosa sta succedendo a loro? Perché non mi hanno cacciato via?”
“Erano giovani”.
“I giovani di solito erano i più incazzati. Possibile che io non faccia più paura?”
“Presidente…”
“Neanche un po’ di rabbia? Niente?”
“...È stato solo un misunderstanding, vedrà che domani dichiareranno di essersi incazzati tantissimo per la sua provocazione”.
“Forse sono davvero un vecchio rincoglionito”.
“No, Presidente, lei no…”
“Posso accettare di essere un vecchio rincoglionito. Ma resto lo stronzo di sempre, non è che se mi invito a casa vostra voi vi mettete in posa. Sono sempre il vostro nemico numero uno, v’ho battuto per vent’anni, non scordatevelo mai”.
“Non se lo scordano, Presidente”.
“È una questione di rispetto”.
“Siamo arrivati, Presidente”.
“Questi sono i nostri, quindi?”
“Questi sì”.
“Da cosa li distingue?”
“Più nokia che iphones”.
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Come democristiani avete ancora molto da imparare

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Può persino darsi che Rosy Bindi sia la cinica manovratrice che dipingete, e che la pubblicazione nell’ultimo giorno di campagna elettorale di un elenco di candidati con pendenze giudiziarie (i cosiddetti impresentabili) sia un colpo basso contro Renzi. Perché no.

Un'accusina da niente
Dopo tanti anni di tiro alla Bindi, l’accusa di machiavellismo è almeno qualcosa di nuovo. Il punto è che, subdola o meno, la Bindi non ha fatto altro che recepire le direttive votate all’unanimità dal parlamento: potrà anche far male come un colpo basso, ma è stato un colpo regolare. Invece a strepitare su twitter che non si fa così, che non è giusto, che non è bello, cosa si ottiene? Magari sbaglio, ma vista da lontano la scena di Scalfarotto e Faraone che danno lezioni alla presidente della Commissione Antimafia non è proprio quella che mi aspetterei da un partito che domani si gioca un appuntamento elettorale importante. Sul serio non è giusto, non è bello, informare i cittadini che il tal candidato è stato rinviato a giudizio?
Faraone ci spiega a cosa non serve
la Commissione Antimafia.

Il renzismo vi tira fuori il peggio. C’è un tipo di arroganza che il vostro boss si può permettere - è il suo stile, e poi davvero il boss è lui - che trasferita ai sottoposti suona terribilmente falsa. Lui peraltro ci aveva anche provato, a minimizzare la cosa. Si vede che un po’ di scuola DC l’ha frequentata: che l’idea di lavare in casa i panni sporchi in casa non gli è aliena. Voialtri invece boh, sembrate una compagnia di quarantenni al ristorante che si fomentano tra loro.
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Il ministero che vuole più Microsoft a scuola (e chi paga?)

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Egregio Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca:

sono un docente che ogni anno partecipa alle rivelazioni Invalsi. Ogni anno sono tentato di protestare pubblicamente per il fatto che il MIUR continui a usare Microsoft Office. Un prodotto costoso (e deperibile) che non offre a docenti e funzionari nulla che non sia possibile fare con prodotti più leggeri e, soprattutto, gratuiti. Poi ogni anno la stanchezza prevale.

Le scrivo perché ho scoperto che il 15 maggio ha stipulato un protocollo di intesa con la Microsoft, che prevede “percorsi formativi rivolti ai dirigenti scolastici su tematiche relative alla didattica e alla gestione delle risorse”, e per i docenti “una serie di incontri di formazione sulle tematiche dell'innovazione nella didattica”, il tutto a “titolo gratuito”: e ci mancherebbe che la Microsoft volesse pur esser pagata, per entrare nelle scuole a pubblicizzare i suoi prodotti.

Egregio Ministro, noi non abbiamo bisogno di lezioni gratis su come usare programmi costosi e deperibili. Avrebbe più senso qualche lezione su come usare altri programmi, che fanno tutto quello che fa Microsoft Office, però gratis. Per una formazione del genere varrebbe persino la pena di pagare: e sarebbe comunque un investimento.

Un tempo la Microsoft era lo stato dell’arte del software. Oggi è un marchio prestigioso che ti imbottiglia l’aria che respiri e prova a vendertela. Mi spiace che ci sia cascata: in ogni caso nelle mie classi quella roba lì non entra più. Saluti.
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Un voto utile (non a Matteo Renzi)

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È dai tempi in cui era solo un sindaco di belle speranze che Renzi propone di vincere sfondando al centro: conquistando elettori moderati e delusi da Berlusconi. Non è che l’idea non abbia un senso, soprattutto nel momento in cui B. tramonta dopo aver divorato tutti i suoi più plausibili eredi. Però a questo punto almeno la manfrina sul voto-utile-a-sinistra ce la potrebbero risparmiare. Se vuoi piacere ai liberisti all’amatriciana, e per farlo vari riforme liberiste all’amatriciana, magari al centro sfondi, ma ti scopri al bordo. Non lo sapevano i renziani che sarebbe andata così? Lo sapevano: ma attaccare l’autolesionismo a sinistra è una di quelle classiche cose che funzionano sempre. Berlusconi ci ha campato 20 anni; normale che abbia degli emuli.

Per quel che conta, ho sempre creduto al voto utile (o meglio: non-idiota). Ho sempre notato che chi col suo voto cercava di punire un centro-sinistra troppo tiepido, otteneva puntualmente il risultato opposto, un ulteriore intiepidimento. Ma stavolta? Più in là in quella direzione non credo che Renzi possa andare. A questo punto il margine di manovra è più a sinistra che a destra. Quanto agli avversari, non sono mai stati così deboli e divisi. Berlusconi non è più la belva in grado di approfittare di ogni minimo vantaggio, ma finché resta lì fa ombra a qualsiasi germoglio di futuro: ritardarne la caduta potrebbe quasi avere un senso tattico (detto questo, io Toti non lo voterei mai. O liguri, fate un po’ voi, io mi fido).
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Renzi è in crisi, o è solo quello che vogliamo sentirci dire?

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Il momento in cui Renzi spiega che la Liguria non è un “caso nazionale” è probabilmente poco successivo al momento in cui un sondaggio riservato comincia a dirgli male. Ugualmente, l’idea che la Liguria sia la sua "ultima spiaggia" mi sembra un po’ forte. Non sarà l’esigenza giornalistica di individuare svolte del destino anche dove c’è una banalissima rotonda? Non dovesse vincere al primo turno, la Paita passerà al secondo in assoluto, otterrà la maggioranza relativa; e dopo qualche giorno non farà più nessuna differenza. Anche l’enorme astensione in Emilia sembrava dover aprire una discussione, subito chiusa perché progetti credibili alternativi a Renzi, fuori o dentro del Pd, per ora non ce n’è.

Non ce ne sarebbero neanche se invece di vincere per 6 regioni a 1, come prometteva qualche tempo fa, o per 4-3, come dice oggi, il Pd risultasse sconfitto. Poco credibile: ma i sondaggi tendono a illudere gli sconfitti negli ultimi giorni; è una tendenza mondiale (vedi UK). Più che a prevedere i risultati, ormai servono a creare suspense.

Alla fine basta scegliere tra tante rilevazioni quelle che insistono a vedere un testa-a-testa finale: non le più attendibili, ma le più intriganti per i lettori. Poi si vota davvero e le maggioranze silenziose (e timide) si dimostrano più prevedibili. Che il blocco sociale coagulatosi intorno a Renzi si stia già squagliando mi pare discutibile, ma ne so meno del più piccolo dei sondaggisti, che è impossibile che sbagli sempre. Dal punto di vista statistico, almeno.
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Podemos e la generazione invisibile (in Italia)

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È normale che oggi la sinistra italiana guardi a Podemos, come era normale che guardasse a Syriza ieri; mi chiedo lo stesso se questo affannoso voltarsi qua e là in cerca di modelli vincenti non sia un equivoco. Ieri il futuro doveva arrivare dalla Grecia, oggi dalla Spagna; e se invece fosse già passato, e non ce ne fossimo accorti? Se Podemos e Syriza nascono a sinistra ma attraggono fette di elettorato diverse, profittando di un diffuso sentimento anti-austerity; se mettono in crisi il bipolarismo tradizionale, forse il Podemos italiano c’è già stato, e non è passato così inosservato: era il Movimento Cinque Stelle.

Certo, Grillo non è Iglesias. Il primo viene dalla tv e, moderno San Paolo, una volta convertito alla politica dal basso ha emesso una fatwa contro il satanico strumento che pure lo ha reso un volto noto a tutti. Il secondo viene da quella galassia dei movimenti che 14 anni fa protestava a Genova: ha scritto una tesi sui Disobbedienti e fatto un po’ di carriera accademica mentre si faceva conoscere come conduttore e opinionista in tv. Vista da qua la Spagna sembra un’oasi serena, dove l’accademia non è vista con sospetto, e la tv non seleziona urlatori ma leader intelligenti e affabili. E torniamo all’eterna domanda: cos’è andato storto da Genova in poi? se al governo c’è un venditore di pentole, e all’opposizione un vecchio comico stanco, sarà colpa di quei due o di un’intera generazione che in dieci anni non si è fatta viva con leader, con progetti, con qualcosa?
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L'Arcigay che si boicotta da sola

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Oggi, mentre in Irlanda i gay festeggiano la vittoria del referendum sul matrimonio, l’Arcigay chiede a iscritti e simpatizzanti di evitare alcune località del lago di Garda, ree di ospitare i raduni delle Sentinelle in Piedi. È un gruppo di estrazione cattolica (ma anche qualche islamico pare sensibile al messaggio omofobo) che prega nelle piazze contro aborto e matrimonio gay.

La Minaccia Omofoba.
Non essendo numerosi né rumorosi, nessuno se ne accorgerebbe, se i loro avversari non cadessero ogni volta nello stesso trabocchetto, protestando contro di loro in modo più o meno molesto, e trasformandoli nelle vittime che essi pretendono di essere. L’invito dell’Arcigay al boicottaggio è un autogol esemplare: che avranno mai fatto di male ristoratori e commercianti di Desenzano o Salo; di quale reato omofobo si saranno macchiati, se non sono riusciti a impedire a qualche decina di tranquilli fanatici di trovarsi in piazza? Che dovrebbero fare da qui in poi per evitare ritorsioni: chiedere a sindaco o prefetto di impedire una libera manifestazione?

Nei libri si leggerà che in Italia il matrimonio gay arrivò in ritardo rispetto agli altri Paesi dell’Europa occidentale. Gli storici spiegheranno il fatto con l’influenza del Vaticano. Con un po’ di fortuna passerà inosservata l’insipienza dall’Arcigay, che mentre i gay irlandesi vincevano un referendum, se la prendeva coi commercianti di località turistiche assai più gay friendly della media, perdendo tempo in zuffe da cortile con quattro bigotti.
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In Italia si chiacchiera, in Irlanda ci si sposa

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La repubblica d'Irlanda ha legalizzato le “attività omosessuali” nel 1993: prima costituivano reato. Nel 2010 è stata varata una legge che introduceva le unioni civili anche tra coniugi dello stesso sesso; nel ‘15 queste unioni sono state quasi equiparate al matrimonio; da oggi i gay irlandesi possono sposarsi. È stata un’evoluzione rapida, ma graduale. Questa gradualità è un aspetto importante: la legge del ‘10 magari era insoddisfacente, ma ha consentito a tante coppie di uscire allo scoperto e mostrare la propria normalità. I cittadini, cattolici e no, hanno potuto osservare le coppie gay, si sono resi conto che non costituivano nessuna minaccia sociale, e in capo a cinque anni le hanno accettate e istituzionalizzate.

In Italia che abbiamo fatto per tutto questo tempo? Ne abbiamo discusso. Neanche molto in verità, visto che favorevoli e contrari alle unioni gay sembrano refrattari a qualsiasi compromesso. Eppure tre anni prima degli irlandesi, nel 2007, si discuteva alla Camera dei DiCo: una proposta che non piacque nemmeno a diversi esponenti gay: troppo tiepido, bisognava ottenere di più. Magari tutto. O niente. Non si ottenne niente. Sono passati 8 anni e le coppie gay, in Italia, continuano a non godere di nessun riconoscimento. Ora, con calma, arriverà in parlamento il ddl Cirinnà: e chi non voleva farsi riconoscere qualche diritto da Rosy Bindi, cercherà di ottenerli da Giovanardi. Spero che malgrado tutto ci riesca: è già molto tardi.
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La Card di Lodoli, la sconfitta di Baricco

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È come se per Lodoli il prof migliore non fosse quello che si aggiorna professionalmente, bensì colui che nutre la sua mente con libri e spettacoli teatrali. Occorre perciò sollecitarlo in tal senso, corrispondendogli parte del salario in sconti su libri e biglietti e non in denaro (col quale rischia di saldare insulse bollette, invece di elevarsi sul piano culturale). Più che un premio agli insegnanti, la card sembra un’idea per assicurare un indotto minimo a scrittori e teatranti. Lodoli al mattino insegna e la sera scrive e forse pensa: non sarebbe un mondo migliore se i miei colleghi al mattino insegnassero e la sera mi leggessero?

Mi spiace che alla corte di Renzi abbia vinto lui e perso Baricco, pur così applaudito alla Leopolda. Non per il valore letterario, ma perché B. vedeva il problema in modo diametralmente opposto, e un giorno osò scriverlo: basta aiuti al teatro, investiamo tutto nella scuola e nella tv. Inutile foraggiare prodotti culturali di nicchia, se a scuola alleviamo analfabeti; il teatro rinascerà quando e se scuola e tv produrranno cittadini in grado di apprezzarlo. Mi pareva l’unica proposta logica, ma alla Leopolda Baricco non la portò (non ne ebbe il coraggio?) Ha vinto il modello-Lodoli, che insiste a vedere nella classe docente non un insieme di lavoratori che deve adeguarsi a determinati standard professionali, bensì una casta intellettuale che celebra la propria identità andando a teatro, leggendo libri: “cultura”, insomma in senso antropologico.
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"In bagno non c'è carta" "Usate la card".

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Casomai v'avanzasse qualche euro
sulla card
Sono grato a Marco Lodoli, al suo caratteristico candore che lo ha portato ieri ad ammettere che il nome “La Buona Scuola” non è la pensata di un pubblicitario prestato al marketing politico, ma è sua. Come sua è l’idea della card da 500 euro per l’”aggiornamento professionale” - ma Lodoli è più schietto: lui non pensa a corsi di didattica, ma a libri e biglietti di teatro. “Troppi insegnanti perdono contatto con lo spirito del tempo, con quanto di bello viene prodotto. Dicono che la cultura costa troppo…”

Quanto a pedagogia e didattica, son parole complicate e Lodoli è sospettoso davanti a nomi strani; ad esempio “dispersione scolastica” è difficile, la gente nn capisce, bisogna semplificare, e semplificando si arriva a “Buona scuola”, il contrario di scuola-no-buona. La scuola da cui rincasando, in luogo di recitare il trito ruolo di prof disillusi, i colleghi dovrebbero rinfrancarsi andando a teatro, o leggendo libri nuovi. Insomma la proposta dello scrittore italiano contemporaneo è: comprare più romanzi contemporanei. Un collega replica che avrebbe preferito pagare le bollette. Lodoli nn risponde.

Sono grato a Lodoli, perché dimostra che non è una cieca avversione a Renzi a rendermi indigesta la riforma: ricordo infatti di aver sentito parlare di una card del genere tantissimi anni fa, proprio in un’intervista a Lodoli; e ricordo che già allora mi pareva una stronzata, da Marie Antoniette della cultura: non c’è più carta nei bagni? Si arrangino con gli ultimi romanzi.
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Un'altra #croce, un altro #bluff

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Adinolfi non è mai riuscito a essermi antipatico come dovrebbe e vorrebbe. Anche a causa della stazza, l’ho sempre assimilato a quei personaggi che a scuola capiscono di non poter recitare altro ruolo che quello del bersaglio, e invece di interpretarlo con rassegnazione, vi si spendono con voluttà. Dopo tanto aver penato tra democristiani e democratici; dopo aver cavalcato la battaglia generazionale prima d’altri, ma con minor fortuna; dopo aver venduto i segreti di giocatore d’azzardo (i vincitori di solito se ne guardano bene), Adinolfi s’è ritrovato come al solito da solo: abbastanza solo da giocare la carta del bigottismo antigender, che a dispetto della pubblicità che gli fanno gli avversari, è una nicchia assai piccola: certo, a un passo c’è l’enorme bacino dei cattolici mediamente omofobi, che se prospetti lezioni di omosessualità a scuola, magari si spaventano e ti comprano il giornale… no. Ci ha provato, non ha funzionato. Ma probabilmente lo sapeva dall’inizio. Fu già Ferrara 7 anni fa con la sua lista pazza antiabortista a dimostrare quanto sia poco sensibile a queste novità il ventre molle del cattolicesimo italiano: La Croce era un progetto fallito in partenza, ma fallire è sempre meglio di non esistere. Avrebbe potuto aprire un blog, ma non glielo avrebbe pagato nessuno: lo ha stampato di carta per qualche mese, e adesso ha un argomento per vendervi un abbonamento on line. Contenti voi. D’altro canto, fidarsi di uno che vendeva consigli su come vincere a poker.
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La scuola competitiva, nel caso anche un po' islamica

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Supponi invece d’essere un docente che a giugno comincia a comporre le prime dell’anno prossimo. Ogni tanto la dirigente passa a dare un’occhiata; all’inizio tutto sembra andar bene. Però passa spesso, come se volesse dirti qualcosa. Un mattino che i corridoi sono sgombri, ti spiega il problema. Troppi cognomi strani. Dove “strano” sapete entrambi che vuol dire. Troppi extra. Alcuni hanno la cittadinanza, altri no, non importa. Che figura ci facciamo? C’è un sacco di gente (alcuni pagano fior di bonus) che quando vedrà il proprio pargolo in una lista tra due cognomi strani, lo ritirerà. La scuola privata un isolato più in là, di cognomi strani ne tiene giusto un paio per classe, a mò di fiore all’occhiello. Noi ne abbiamo troppi.

Tu potresti anche obiettare che alcuni dei “troppi” sono italiani a tutti gli effetti, e arrivano con ottimi voti. Sì ma il genitore che guarda il tabellone mica lo sa, è irrazionale, siamo stati tutti genitori e lo sappiamo, hai paura di tutto, figurati di un cognome che comincia per X o Y. E quindi? Mica possiamo cacciarli.

Certo che non possiamo, spiega la preside. Li concentriamo in alcune sezioni, e in altre ne teniamo uno o due: così restiamo competitivi con le private. Ecco la lista dei genitori che hanno già versato il bonus. Lei sa dove metterli.

Che dice? Razzista io? M’offende. Se un giorno venisse un facoltoso contribuente islamico - e un giorno verrà - io una classe-madrasa gliela apro senza problemi. I soldi non han razza, né religione.
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La scuola del merito e dei bonus: una simulazione

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Supponi d’essere un giovane docente, assunto da un dirigente che vede in te qualcosa, chissà cosa, nemmeno tu lo sai ancora. Un giorno ti convoca e attacca i complimenti per la didattica innovativa e il buon rapporto coi genitori, anche se l’ing. Pierini è preoccupato per i brutti voti del figlio in matematica. E italiano. E scienze. E insomma non possiamo aiutarlo ‘sto ragazzo?

Al che candido replichi che certo potresti aiutarlo, se studiasse di più e cerbottanasse meno palline di carta. Dovrebbe cambiare atteggiamento. E il preside paziente a spiegarti che è un po’ tardi per cambiare atteggiamento; si fa giusto in tempo a cambiare i voti, sennò Pierini jr rischia d’essere bocciato e suo padre lo iscriverà a un’altra scuola. Così niente lavagna interattiva a settembre. Ci siamo capiti?

Tu lo guardi sorpreso ed è evidente che no, non vi siete capiti. E lui, sospirando: ma ha capito chi è l’ing. Pierini? Lo sai quanto ci può devolvere in school bonus? Vuole rinunciare ai suoi soldi perché il figlio è deficiente? È una disgrazia, ma è anche un’opportunità. Così riusciamo a metter via i soldi per la lavagna. Non mi dica che non le piacerebbe una lavagna.

E non la prenda in questo modo. Non era questo che vedevo in lei. Vedevo un giovane abbastanza intelligente e disperato per capire ed eseguire i miei ordini. Ci rifletta: tra il figlio scioperato di un papà ricco e generoso e un giovane docente inflessibile, di chi posso fare a meno a settembre?
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Guerra di religione nell'intervallo

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Volevo dirvi, e già pregusto l’interesse che in voi scatenerò, che ieri la Pippi di seconda P ha preso per i capelli la Cacchi di prima Q perché le diceva che dopo essersi tosato l’emisfero destro col rasoio non sembrava Scarlett Johansson agli Oscar, ma piuttosto un istrice schiacciato in autostrada.

A quel punto è intervenuta la Merdy di III R (ripetente), che pur non sapendo cosa fosse un istrice, né la Johansson, né un emisfero, né un Oscar, né dove si trovasse in quel momento, ha pestato la Pippi perché ehi, in quel corridoio se vuoi menarti devi chiedere a lei, non è che puoi graffiar bambine senza invitarla. Ma sbagliava corridoio, quindi la Gwanda di II W è andata a dirlo al fratello, il quale disprezzando i litigi tra femmine e gli sfregi che procurano ha deciso di non intervenire direttamente, bensì sgonfiando la bici della colpevole; e non capendo chi fosse esattamente, non riuscendo a districare la catena di cause ed effetti dalla Pippi alla Cacchi alla Merdy, ha sgonfiato un’intera rastrelliera, quaranta ruote, Dio è grande e riconoscerà le sue.

A quel punto voi avreste mandato il fratello di Gwanda dal preside, ma bisogna prendere appuntamento, del resto ha otto plessi, così ho pensato di chiamare i giornalisti. Sì, perché il ragazzino è musulmano, e invece di Dio è grande ha detto Allah Akbar. E quindi capite, lo scontro di religioni, di civiltà - chi l’avrebbe detto che il nostro quarto d’ora di celebrità sarebbe stato quello dell’intervallo.
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Downgrading Matteo Renzi

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Ma lo ricordate il rottamatore che con l'entusiasmo dei 39 anni accusava gli avversari di voler infilare i gettoni dell'iphone? Ricordate Matteo Renzi quando era il futuro, e non si faceva inquadrare per 17 minuti davanti a una lavagna - non di quelle digitali, no, una lavagna vecchio stile, senza risparmiare agli utenti lo strazio del gessetto sull'ardesia? Che avrebbe detto il giovane Matteo di questo noioso supplente 40enne che scrivendo volta le spalle, e neanche si porta da casa le slide?

Che sta succedendo a Renzi? È da mesi che cerco di criticarlo senza chiamarlo il nuovo Berlusconi. Credo davvero che siano diversi e non abbia senso confonderli – ci terrei a non passare per un ossesso che vede la sagoma di Berlusconi in ogni fenomeno che non gli piace. Lui però non è che mi aiuti molto. Manda in giro una vhs un video in cui spiega alla lavagna le belle cose che farà. C'è pure la libreria sullo sfondo. Ieri pare abbia dichiarato “non metterò le mani in tasca agli italiani”. Insomma, berlusconeggia apposta, o gli viene spontaneo e neanche se ne accorge? Quale opzione è meno inquietante?

Io vorrei non confondere Berlusconi e Renzi, ma mi domando se Renzi ci tenga altrettanto; o se l'esigenza di attirare gli elettori che abbandonano Forza Italia non lo stia forzando a un mimetismo sempre più aderente al modello. Non succede anche agli iphone la stessa cosa? Lo stato dell'arte quando li scegli, vecchi rottami tre anni dopo.
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Ti immerda l'aiuola, ci mette la faccia

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“Questa aiuola fa schifo!”
“Già, come vede sto pulendo”.
“Ma non si vergogna di tenerla così?”
“Io sono quello che pulisce, per quel che posso. Però la gente passa e sporca”.
“E il governo?”
“Eh, non ci ha aiutato un granché fin qui. Speriamo nel prossimo”.
“Son io il prossimo!” (Zip)
“Ah, bene, ma... Scusi, lei sta pisciando? Sta pisciando nella mia aiuola?”
“L'aiuola non è sua, chi si crede di essere?”
“Ma la stavo pulendo”.
“Non si notava un granché”
“Però adesso lei ci sta pisciando”.
“Vede com'è fatto lei?”
“Come sarei fatto io?”
“Le piaceva l'aiuola com'era prima!”
“No, non mi piaceva l'aiola com'era prima, ma non credo che sia un buon motivo per pisciarci sopra”.
“Lei è nemico di tutto ciò che è nuovo”.
“Ma non mi sembra una cosa tanto nuova, abbia pazienza”.
“Lei ha paura del futuro”.
“Un tizio che piscia in un'aiuola è il futuro?”
“Da qui in poi cambia tutto! Si marcia a un passo diverso! Ve ne accorgerete, ve ne”.
“Ha finito? Perché io stavo lavorando”.
“Senta, può darsi che con lei io abbia sbagliato approccio”.
“Non credo sia un problema di approccio, è che lei piscia nelle aiuole”.
“Perché non ricominciamo tutto da capo? Veniamoci incontro”.
“Si sta risbottonando?”
“Non crede che sia ora di lasciare un segno, qualcosa di concreto?”
“Ma no, non credo proprio”.
“Lei è senza speranza. Un amante dello status quo. Un masochista”.
“Io stavo pulendo prima che lei arrivasse”.
“E se ne vanta pure? Guardi com'è ridotta, guardi”.
“Ci sta ancora ancora cagando sopra”.
“Ci sto mettendo la faccia!”
“La chiamano così adesso?”
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Il masochismo di mandare all'aria la scuola

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Senz'altro c'è una sinistra masochista: perlomeno, che tipo di sinistra è quella che trovandosi in una situazione di potere, invece di cogliere l'occasione per riorganizzare la scuola in modo razionale, ne approfitta per spernacchiare tutti gli insegnanti italiani, di ruolo e precari? I docenti avevano timidamente fatto notare, con la mobilitazione del decennio, che trasferire tutte le decisioni sulle fragili spalle del dirigente non sembrava molto sensato: se non altro perché fino a oggi erano funzionari con poca o punta nozione di didattica. La masochistica risposta di Renzi e di Giannini: non vi piace tutto il potere ai dirigenti? Va bene, facciamo entrare anche genitori e studenti. Loro sì che di didattica se ne intenderanno. O no? Insomma, qualcuno se ne dovrà pur intendere di questa cosa. Non vi piace? Eh ma allora ditelo che preferite lo status quo.

Intendiamoci: l'idea ha aspetti positivi. Chi lavora nelle scuole sa quanto sia facile compiacere studenti e genitori: molto più facile che preparare buone lezioni o correggere troppi compiti, col rischio poi di dare dispiacere agli utenti. Prevediamo sin d'ora che la buona scuola valutata da studenti e genitori di compiti ne darà pochissimi: e non sarà più così difficile trovare insegnanti disponibili a portar classi in gita (più spesso a Gardaland che alla Risiera di San Sabba). A farne le spese, col tempo, sarà la collettività, ma si vede che anche alla collettività piace soffrire. Se si sceglie dei riformatori così.
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La buona scuola, le medie scuole, le scuole cattive

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Come insegnante, a me non dispiacerebbe essere valutato: sono già quotidianamente sottoposto al giudizio informale ma costante di genitori, colleghi, e studenti; perché non aggiungere qualche parametro oggettivo? Peccato che nessuno l’abbia mai davvero proposto. Ne parlano tutti: incassano la solidarietà degli gli ex studenti che vorrebbero farcela pagare, e poi scrivono brutte leggi in cui non si capisce mai come dovremmo essere giudicati. Almeno nel testo originale della Buona Scuola si capiva bene chi: il preside. Era uno degli aspetti più discutibili del Ddl ed è già stato un po’ modificato. Nel frattempo molti ne hanno approfittato per spiegarci che non ci trovano nulla di strano: anche loro vengono giudicati dai loro dirigenti: perché noi no?

Potrei semplicemente rispondere: perché non mi fido dei dirigenti. Ma è più complesso di così. Secondo Renzi ogni preside doveva essere libero di costruire “la sua squadra”. Già la metafora ha qualcosa che non va, perché se ci pensate, di solito la “nostra squadra” è quella che il club si è potuto permettere. Per un preside che riuscirà ad attirare insegnanti buoni, ce ne saranno cinque o sei che non potranno che contentarsi dei rimasugli. È l’economia: niente di così strano. Ma la scuola pubblica era nata proprio per andare in senso inverso. Renzi parla di Buona Scuola, ma per ogni scuola buona ce ne saranno un po’ di mediocri, e parecchie scadenti. Vabbe’, al limite chi se lo può permettere andrà alle private (coi miei soldi).
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La democrazia che gli inglesi invidiano a D'Alimonte

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L'Inghilterra è salva, ci avvisa D’Alimonte. Fino all’altro ieri era “sull’orlo della ingovernabilità”, oggi gli elettori tirano un sospiro di sollievo, “hanno un governo di maggioranza. Questo esito è il prodotto del sistema elettorale” (pur non bello come l’Italicum, progettato dal prof. D’Alimonte).

Il renzismo ci tira fuori il peggio. Prof, se il sistema inglese serve a ottenere dei governi stabili monocolore, perché 4 anni fa non funzionò? Con appena lo 0,8% in meno, Cameron dovette rassegnarsi all’umiliante coalizione coi liberali di Clegg. Eppure l’economia non collassò, non vi fu peste o carestia, la Scozia non invase la Northumbria. Alla fine molti britannici hanno persino deciso di tenersi Cameron (non Clegg). Se a Londra s’insedierà un monocolore, sarà una delle eccezioni in Europa.

Il sistema britannico ha ragioni storiche. Nasce per garantire un rapporto diretto tra elettori ed eletto, non per garantire "governabilità". Ma D’Alimonte scrive per un ceto politico che si presenta ancora sotto choc per l’esito inglorioso del Prodi II: se una coalizione raccogliticcia e senza una solida maggioranza era ingovernabile, qualsiasi coalizione al mondo deve esserlo: e va evitata a ogni costo. Non è solo un problema di 10% (che è comunque parecchio): è l’ingenuità con cui si pensa che la litigiosità italiana si risolva con una legge o un algoritmo; l’insolenza con cui si insiste a proporre questa “narrazione”, come si chiama adesso. Io la chiamo ancora cattiva fede.
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"Datti una risposta da solo"

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Presidente Bonaccini, so quanto i giornalisti sappiano essere fastidiosi, a volte. Fanno domande insensate, non cercano risposte, ma reazioni scomposte. E se taci, che davvero sarebbe l’unica cosa saggia, t’inseguono, poi montano tre minuti di inseguimento e si credon cronisti d’assalto. Altro che Woodward e Bernstein, loro puntano più su, verso il Gabibbo. A scuola han letto che la stampa deve dar fastidio al potere e han frainteso; invece di dare un’occhiata agli situazione degli appalti in Regione, vanno a punzecchiarti ai comizi. Perché fare i cani da guardia della democrazia, quando puoi esserne la zanzara. Non sono tutti così, ma fin troppi.

Presidente, so che lei è un po’ meglio di come appare in un video di due minuti dove non sa più rispondere a una cronista che non sa cosa domandare. Quanto le debba suonare paradossale l’accusa di militare in un partito dittatoriale - quando per candidarsi in regione ha dovuto battagliare anche coi renziani compagni di corrente. Però doveva proprio darle un buffetto sulla guancia? E poi. Chiuda gli occhi e si riascolti. So quanto può essere fastidioso riascoltare la propria cadenza modenese, ma ci provi. Si domandi cosa le ricorda. E si dia una risposta.

Presidente, non sarà dittatoriale il suo partito, ma non lo riconosco. M’avessero impacchettato vent’anni fa, e risvegliato oggi, ascoltandola io dedurrei che i leghisti si sono presi pure l’Emilia. Mi sbaglierei? Me lo sono chiesto. E un po’ mi sono già risposto.
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Un'altra razza (di pecore?)

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Oggi a Londra è già finita; arrivederci nel ‘19. La stessa stabilità vorremmo noi. L’italicum ce la darà?

Mettiamo che qualcuno (non per forza Civati) rimetta su un partito, a sinistra o destra del PD. Una cosa senza pretese, per razzolare un po’ di 2‰ e visibilità in tv; una cosa al 3%.
Metti che i sondaggi continuino a dare, per mesi, il PD al 38. Sbagliano sempre: ma metti che sbaglino tutti nello stresso modo. E suggeriscano che un ballottaggio contro Salvini o Di Maio sia rischioso. A quel punto nessuno penserà a un apparentamento tra il Pd e il partitino?

Se invece il Pd vince? Li immaginate 5 anni placidi su un prato all'inglese a ruminare osservando Renzi che governa? Nessuna minoranza interna sarà mai tentata di far pesare i suoi seggi, minacciar scissioni? Quando il PdL vinse con ampio margine, che capitò?

Il trasformismo in Italia lo abbiamo dai tempi di Cavour (prima mancava l’Italia, non il traformismo). Quante leggi elettorali avremo provato nel frattempo? Persino chi credeva d’aver definitivamente risolto il problema, un giorno salì in Gran Consiglio e si ritrovò messo in minoranza, da gente che gli doveva tutto.

Non voglio negare che il sistema elettorale modifichi il comportamento di politici ed elettori. Ma dopo aver visto applicate tre leggi diverse, e un solo governo durare una legislatura, il sospetto viene: forse la stabilità non ci piace davvero. Ci piace litigare. Saremo pecore anche noi, ma non ci accontentiamo del placido paesaggio. Ci serve il sangue.
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La scuola dell'obbligo, con piglio manageriale

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A un giorno dallo sciopero, ringrazio gli esponenti del mondo dell’impresa che su internet han dedicato ore preziose a spiegare a noi docenti retrogradi, incompetenti, pigri, 68ini, intoccabili, come rifarebbero la Scuola secondo i criteri imprenditoriali, manageriali, liberisti, moderni, che li hanno resi uomini di successo che al pomeriggio spiegano il mondo agli sfigati.

Purtroppo mancherà per sempre la controprova, ovvero: quanto mi piacerebbe nominare d’émblée uno di voi dirigente di un istituto comprensivo. Un esperimento. Assistere alle riunioni in cui con piglio manageriale risolvereste i problemi di organico e di relazioni col pubblico. Vedervi mentre interagite col comune che non ripara la caldaia; il genitore-avvocato che intende denunciarvi perché un prof ha sequestrato un cellulare in base al regolamento, ma in deroga al codice penale; il prof in malattia che se lo demansioni è mobbing; i vigili che non recepiscono le vostre segnalazioni sul tizio che stalkeggia le ragazze al cancello; i servizi sociali che esigono che l’alunno A sia spostato per motivi seri ma non avete il posto, e tante altre cazzate che non vi sono mai venute in mente perché, in effetti, avete sempre fatto un altro mestiere. Un mestiere che nessuno vi spiega su facebook al pomeriggio. Sfortuna.

Finché dopo un paio di giorni concludereste che la scuola così non può funzionare, cioè, dove sono gli utili? Non ha senso. Quindi la chiudete e - con piglio manageriale - ne riaprite un’altra in Romania.
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Le pippe passano, Orfini osserva

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In un giorno così importante della storia repubblicana, non vorrei che passasse poco osservato l’atto di valore del presidente del PD, Orfini, che a un convegno ha definito Monti e la Fornero “discrete pippe”. Non che sussistessero dubbi, col buco che lasciano: ma pensate a Orfini. Al ruolo di responsabilità che copriva nel partito che appoggiò il governo Monti nel 2012. Pensate al coraggio che gli deve essere costato, dopo tanto tempo, quando ormai Monti e la Fornero sono due pensionati fuori dai giochi, sacrificarsi di fronte alla sublime necessità di dire il vero, per quanto scomodo: chi oggi è capace di altrettanta franchezza?

Ma l’Orfini che sostenne indomo Bersani quando guidava il PD; lo stesso Orfini che a due mesi dalla sconfitta elettorale stava già alacremente proponendo Renzi a capo del governo; l’Orfini tutto d’un pezzo che oggi presiede il PD... è la nostra più grande speranza. Perché è vero, il sole di Renzi è allo zenit, ma domani? Se qualcosa andasse storto, se finisse al ballottaggio e lo perdesse, o più prosaicamente la corte costituzionale facesse strame di una legge a occhio non proprio democratica; se il Pd si ritrovasse senza un leader, e Renzi e la Boschi ridotti a osservare il mondo da una panchina, esposti al ludibrio dei passanti - sic transit gloria mundi! - quel giorno solo il prode Orfini saprebbe trovare le parole.

A un convegno qualsiasi, chiacchierando amabilmente, soggiungerebbe: eh, ma si sapeva che erano pippe anche quei due. Next!
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Al 40% non è democrazia (anche se vi piace)

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L’Italicum è una brutta legge. Ma - domanda Salvati - se invece di Renzi l’avesse proposto Bersani?

Buffa domanda. Per me un premio al 54% al partito che si aggiudica il 40 è indecente; lo sarebbe anche se lo proponesse Gandhi. Ma la domanda di Salvati è più interessante della mia risposta, proprio perché non si cura dei numeri. Come se non fossero l’unica cosa importante.

È vero, come dice, che in passato furono i bersaniani a parlare di un premio di maggioranza; ma hanno mai proposto il 54% per chi si fermava al 40%? È una questione puramente aritmetica che a Salvati (e tanti altri) non interessa. Non importano i numeri, ma i nomi. Invece di analizzare le distorsioni della legge, la si usa come sfondo per un episodio dell’epica renziana: l’ennesima sconfitta del vecchio Bersani. Il prezzo da pagare per lo spettacolo è una brutta legge? Qualcuno infine pagherà, ma ora è tempo di festeggiare il vincitore, dileggiare lo sconfitto.

Io mi chiamo fuori. Se c’è un numero percentuale sotto al quale non puoi più chiamare vino la bevanda che stai imbottigliando, ce ne può essere uno oltre cui la democrazia diventa la sua parodia. Abbiamo tutti desiderato un governo forte di una maggioranza più compatta - anche Mussolini. Se questo non fa di noi dei fascisti, nemmeno ci obbliga ad apprezzare l’Italicum. Ognuno risponde alla sua coscienza, al suo gusto: per me al 40% non è democrazia. Sull’etichetta c’è Renzi o Bersani? Che importa. È proprio che non sento il sapore, mi spiace.
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Quelli che non scioperano domani

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Quelli che tanto non serve.
Quelli che altro che sciopero, il blocco degli scrutini ci vorrebbe, l’insurrezione, il meteorite! Quindi domattina non scioperano.
Quelli che vuoi pure dargli i miei soldi, a quei ladri? E non scioperano.
Quelli che lo hanno già fatto il mese scorso con la gilda-precari-secondafascia o i cobas-fondovalle perciò stavolta no.
Quelli che sarei d’accordo ma poi i genitori chi li sente?
Quelli che devono spiegare il DNA, Kant, le lotte operaie dell’800 per ottenere i diritti sindacali, e quindi non scioperano.
Quelli che non se lo possono permettere.

Quelli che al corteo no, con gli studenti poi. E se qualcuno tira giù il cappuccio e tira una bombacarta, sarà colpa mia che “non ho saputo isolarlo”?
Quelli che lo isolerebbero anche, ma con che? Spranghe, sampietrini, nude mani? Davanti ai poliziotti? Come distingueranno il vandalo dall’isolatore di vandalo? E se nel dubbio mi bastonano e mi ritrovo sanguinante nel tg, e Renzi mi dà del figlio di papà? Piuttosto sto a casa, scrivo su facebook #iosciopero e litigo con quelli che #iononsciopero, almeno la testa è salva.

Quelli che sembriamo fancazzisti che non vogliono essere valutati. Valutati come? Non si sa, il Ddl non lo dice. È la terza riforma che non lo dice. Eh ma sembra lo stesso colpa nostra.

Quelli che eh, ma poi chi sciopera il preside se li segna.
Dici: e che ci fa?
Oggi niente.
Ma domani deciderà tutto lui.
Ah già.

Quelli che però domani scioperiamo lo stesso. Anche per te, se non ti spiace.
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I Black Bloc non sono il problema (sono la soluzione)

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Dispiace che molti ne parlino ancora come di un problema, neanche fosse il 2001. Ma sarebbe incredibile se dopo tanto tempo nessuno avesse trovato un modo per volgere il fenomeno a proprio vantaggio. È il 2015, e i Black Bloc così come li vedete al tg non sono più un problema, davvero. Sono la soluzione.

Repubblica
C’è da qualche parte un movimento di protesta, un corteo di scontenti? Niente paura, ci sarà sempre qualcuno che ne approfitterà per calare il cappuccio e rompere qualcosa. Inflitrati? Fascisti? Non necessariamente. Rompere cose è divertente, il rischio è calcolato, il biglietto per sentirsi in prima linea nella guerra anti-sistema si stacca praticamente gratis.

Lo ammette la stessa catena di comando, su fino al ministro: non si poteva contenere il fenomeno meglio di così. La devastazione che avete visto in video è esattamente la quantità di violenza che ritenevano necessario mostrarci. Nel frattempo al Manifesto si affannano a prendere le distanze - 15 anni che prendono le distanze, ma non basterà mai. La reazione compatta e sdegnata del cittadino medio che il giorno dopo si ritrova in piazza con la scopa in mano è la migliore dimostrazione di quanto siano utili i Black Bloc, ogni volta che si vuole screditare un movimento di protesta ("figli di papà"! Come conosce i suoi polli). E quindi?

E quindi ne avremo sempre. Non tanti, ma sempre. Che fare? La polizza antincendio alla macchina, per esempio, al vostro posto la farei. Anzi l’ho già fatta.
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Come stai vecchia stragista

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Non è commovente che papa Bergoglio telefoni a Emma Bonino per chiederle come sta? Un po’ sì. Però è assurdo.

Non mi considero molto radicale, ma stimo la Bonino; nemmeno così cattolico, ma rispetto Bergoglio. Gran parte della mia considerazione per loro, tuttavia, poggia sul fatto che non possano andar d’accordo, e nemmeno rispettarsi. La Bonino ha combattuto in prima linea la lotta non violenta ma acerrima per la legalizzazione dell’aborto. In un anno si autoaccusò di avere aiutato diecimila madri ad abortire. Non se n’è mai pentita e che io sappia non ha mai rivisto la sua posizione. Il papa dirige l’organizzazione che nel mondo ha più osteggiato la legalizzazione dell’aborto.

Se per Bergoglio la vita inizia col concepimento, e interrompere una gravidanza equivale a interrompere una vita, non si vede come Emma Bonino possa essere per lei altro che un’assassina seriale, e della peggior specie: non avendo lei ucciso per passione o convenienza, ma perché lo riteneva giusto e legalizzabile. Il capo di una religione che costringe le donne ad abortire di nascosto e un’assassina seriale di feti cos’hanno da dirsi di gentile al telefono? Onestamente non lo capisco.

L’unica ipotesi che mi riesce è che sia un gioco delle parti: e che a questa storia dell’aborto-assassinio persino il papa creda fino a un certo punto. Un’iperbole retorica, che si mette via quando è ora di telefonare a una brava persona e chiederle come sta. Ma ai suoi fedeli sta bene? Non ci trovano niente da ridire?
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La Fornero e i tecnocrati che non sapevano fare i conti

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Il paradosso dell’ex ministro Fornero è che pochi dei suoi predecessori avrebbero potuto vantare, al momento della nomina, un curriculum altrettanto prestigioso; e proprio a lei, un ‘tecnico’ di provata competenza, libero dai condizionamenti dei partiti, è intestata una serie di disastri contabili dai quali non ci siamo ancora ripresi.

Non è un caso isolato. Quando si installò il governo Monti anche a sinistra in molti lo salutammo come un salutare esperimento di meritocrazia: non ci illudevamo di aver davanti dei progressisti (e infatti), ma pensavamo che i professori almeno i conti li sapessero fare. Ci trovammo invece davanti a personaggi che parevano cascati dalla Luna come il ministro Profumo, che almeno per un giorno ritenne fattibile aumentare del 30% il carico degli insegnanti senza contrattazione. Non era un bieco schiavista: era un buon professore convinto che si potesse fare. Non aveva fatto due conti.

Se il ventennio di Berlusconi ci tolse ogni fiducia nella classe imprenditoriale italiana, nella sua capacità di rinnovare o anche soltanto di capire i problemi in cui si dibatteva, i 17 mesi del governo dei professori ci squarciarono il velo sul livello della nostra classe accademica e intellettuale. A quel punto tanto valeva far scrivere le riforme al primo arrivato. Non sarà poi difficile trovare qualche esimio costituzionalista pronto a mandar giù un premio del 53% per un partito che arriva al 40%. Del resto che pretendi: sono prof di diritto, mica d’aritmetica.
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Uno schiaffo (con affetto) a Zambardino

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Siccome a Vittorio Zambardino voglio bene, lo schiaffo che gli darei è da intendersi come affettuoso, ma pur necessario come quello che si dà a un compagno in choc: ehi, sei ancora tra noi? Cioè sul serio pensi che i tizi in felpa nera si siano decisi a dar fuoco a Milano solo dopo aver scoperto che Erri De Luca riconosce agli oppressi il “diritto-dovere di sabotaggio”?

Quando scrivi che ti senti colpevole, tu e la tua generazione che ne ha dette e fatte tante... non so quanti scheletri tu abbia nell’armadio, però lo capisci che non c’entra più niente? Che i ragazzi in felpa non hanno la minima idea di chi voi siate e di che abbiate fatto di buono e di cattivo; che “l’ambiente informativo che abbiamo dato ai nostri figli” ha su di loro un sedicesimo dell’influenza che può avere Assassin’s Creed?

Che si va ai riots a Parigi o Londra per l’adrenalina; per provare il proprio coraggio ed emulare i compagni più grandi che esibiscono cicatrici e raccontano di epiche battaglie; per i triti motivi per cui cent’anni fa si partiva volontari e mille fa s’andava alle crociate; e in tutto questo il ruolo tuo, di De Luca e della vostra benedetta generazione non è che uno starnuto nell’eterno russare della Storia?

Quando la smetterai, almeno tu, di crederti così centrale; di sentirti in colpa ogni volta che un coglione che non conosci ribalta un cassonetto, di voler portare il mondo sulle spalle? Non è mai stato sulle vostre spalle. È un'altra cosa che vi raccontavate, per sentirvi grandi.
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Date un quotidiano a Calabresi

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A questo punto potremmo vedere nel vandalismo in felpa nera un fenomeno pandemico, che s’annida in qualsiasi manifestazione, da Baltimora a Milano, indifferentemente dai motivi per cui si convoca, parassitandone la visibilità. Potremmo anche pensare che questa è la prima occasione che ha la polizia, dopo la sentenza di Strasburgo, di farsi un po’ desiderare: basta lasciar campo libero ai vandali (in fondo la stessa tecnica del G8), e in pochi minuti le nostre bacheche si riempiono di invocazioni agli uomini in uniforme. Potremmo pensare tutto ciò: e Mario Calabresi ci darebbe torto. Lui sa perché oggi davano fuoco ad auto e vetrine. È successo perché nessuno ha mai parlato delle devastazioni al g8.

Chiaro, no?
Qualcuno potrebbe trovare la cosa opinabile: a me per esempio sembra di ricordare che se ne parlò parecchio. Questa per dire era la prima di un quotidiano di Torino che Calabresi forse conosce, il 22 luglio: nota bene che la sera prima la polizia aveva devastato le Diaz, in un orario in cui le redazioni non erano ancora chiuse. Non c’era la Diaz in prima.


E il giorno dopo?



Uno potrebbe far notare che non solo di vandalismi si è parlato, ma che ci sono stati processi e sentenze (un secolo di galera diviso tra 10 condannati in appello). Ma si tratta di obiezioni speciose. Forse Calabresi ha ragione: se dai più visibilità ai vandali, loro magari smettono. Se solo Calabresi potesse farci qualcosa, se solo qualcuno gli desse la possibilità dirigere un quotidiano.
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L'America di Renzi (non esiste)

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Come Veltroni, Renzi sogna l’America (“Il mio sogno è che in Italia si sfidino due partiti sul modello americano, Democratici e Repubblicani”). Mentre abolisce il bicameralismo perfetto, una delle poche caratteristiche che avevamo in comune con gli USA; mentre fa ingoiare al parlamento un premio di maggioranza al 55% che laggiù, ovviamente, non esiste. Quelli d’altro canto sono presidenzialisti seri, non se ne vergognano; inoltre hanno questa idea curiosa del bilanciamento dei poteri, per cui capita spesso (e anche in questo momento) che la maggioranza il presidente non ce l’abbia affatto, e debba coabitare con un congresso che non va d’accordo con lui. C’è che mentre i nostri statisti sognano l’America, gli americani studiavano Montesquieu.

Renzi auspica l’alternanza di due grandi partiti - e nel frattempo abbatte la soglia al 3%, il che gli consentirà di occupare saldamente il centro dell’offerta politica mentre gli avversari si frammentano in liste e listine in lotta tra loro per la visibilità. Renzi sogna l’America, ma è appunto un’America filtrata dal sogno: una libera prateria dove nessuno potrà dire allo sceriffo cosa deve o non deve fare. La sera delle elezioni tutti scoprono il nome del presidente e il dibattito in sostanza finisce lì: il parlamento garantirà diritto di tribuna a bastian contrari impotenti che troveranno nuovi modi di rendersi ridicoli in favore delle telecamere. Renzi vuol fare l’americano, ma risulta, ineluttabilmente, nato in Italy.
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Non potresti picchiarci più piano, Matteo Renzi?

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Non solo Renzi non è Mussolini, ma si fatica a immaginare tra i suoi oppositori un Matteotti, un Gramsci. In particolare tra gli interni al Pd, che dopo aver adombrato derive totalitarie si sono accontentati di uscir dall’aula: dietro magari c’è un raffinato ragionamento tattico precongressuale che appassionerà gli addetti. Da qui Bersani e soci sono solo sembrati patetici; spiace a me per primo.

Si poteva far di peggio? 50 deputati della minoranza hanno votato sì, ma cogliendo un’occasione per un rimbrotto a Renzi: chissà quanto c’è rimasto male. Non è questo “il modo di relazionarci”, ha spiegato Mauri; è stato “un grave errore aver continuamente esasperato i toni”! Lo ha detto accingendosi a ingoiare l’Italicum. “Così si è solo dimostrato una volta in più che le prove muscolari non portano lontano”. Senza dubbio Renzi non li mostrerà più i muscoli, ora che ha visto con quanta velocità vi inginocchiate.

Non è Mussolini, no, e a voi non sarebbe riuscito nemmeno un Aventino. Piagnucolare che non si fa così, non si esasperano i toni, mentre ci si prostra a terra con tanto senso di responsabilità e la speranza che si ricordino di voi stilando i prossimi listini elettorali. Non si capisce però perché in quell’occasione Renzi dovrebbe preferirvi a qualche ragazzo/a di bell’aspetto, in grado di pigiare gli stessi pulsanti con meno melodramma e più fotogenico entusiasmo. Sul serio, credete di essere più utili alla democrazia? Ieri non s’è visto; oggi è tardi.
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E fascista qua e fascista là

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Questa cosa dei paragoni col fascismo magari ci sta un po’ sfuggendo di mano, come accade spesso verso la fine di aprile. Renzi è uno sbruffone, ma non è Mussolini. Vuole comandare per 5 anni senza darsi pena di ottenere la maggioranza dei suffragi, ma l’Italicum non è la legge Acerbo...

…E stavo quasi per buttar giù 1500 caratteri sul tema, quando ho sentito il ministro dell’istruzione definire “squadristi” gli insegnanti che, non apprezzando una riforma pasticciata che trasferisce tutti i poteri delle scuole a una specie di preside-prefetto, osavano contestare il suo comizio. La Giannini, che ha idee vaghe su chi siano questi dirigenti scolastici che tra pochi mesi dovrebbero governare la scuola, forse è parimenti inconsapevole del fatto che gli squadristi, di solito, non interrompevano i discorsi dei ministri, ma le manifestazioni dei lavoratori: e non facendo un po’ di chiasso, ma con bastoni e armi da fuoco.


Conviene rassegnarsi: dal ‘45 in poi l’accusa di fascismo è un’iperbole a cui attingiamo tutti troppo spesso, per comodità e scarsa fantasia. In fondo è meglio così che se ce lo fossimo dimenticato. Invece, a furia di lanciarcelo addosso, siamo costretti a ripassarlo. Ne possiamo ottenere addirittura parametri oggettivi: ad esempio, Mussolini pretese un premio di maggioranza al 25%, Renzi si accontenta del 40. Non solo possiamo dire che non è fascista, ma abbiamo anche una cifra precisa: non lo è per un 15%. È tanto, è poco? Io non mi accontenterei.
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Mussolini era una zecca

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Al ragazzino che oggi prova a rimpiangerlo direi: ma lo sai chi era davvero Benito Mussolini, morto oggi 70 anni fa?

Perché se hai fatto i compiti a questo punto dovresti saperlo. Una zecca. Nei vari e non simpatici sensi del termine. Socialista, per esempio; e figlio di socialisti. Porta il nome di un rivoluzionario messicano. Da giovane scappò in Svizzera per non fare il militare. Ateo e mangiapreti, e quando in Libia c’era da difendere il sacro nome della patria, lui andò a mettersi sui binari per non far passare i treni.

Poi, certo, ha cambiato idee. Quando scoppiò la Grande Guerra cominciò a parlare di Patria e Valori. Ma prendeva ancora i soldi dai socialisti francesi, che speravano di portare dalla loro gli italiani. Poi dagli industriali che annusavano l’affare. Cominciava a metter pancia. Succhiando un po’ qui, un po’ là, mandando avanti bravi reduci e ragazzini in camicia nera, eccolo a Roma. Da lì in poi, naturalmente, tutto Dio Patria e Famiglia: anche nel senso che succhiò da tutte e tre. Il primo s’accontentò di un quartierino sul Tevere, la seconda tra Etiopia e leggi razziali si ritrovò il nome infangato per sempre. Alla terza prese pure le fedi nuziali.

Non ci credi? Giusto. Non fidarti di nessuno: studia. A De Felice puoi dar retta? Rimpiangilo pure se vuoi, ma ricordati da dove veniva. Era un maestro di scuola, pensa: e socialista. Vi ha succhiato per vent’anni e vi ha lasciato gusci vuoti. Dimmi che lo rivorresti indietro, dimmi che ne vorresti un altro.
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Il giorno a cui direte a Renzi: No.

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Certe occasioni capitano una volta sola. Renzi, per esempio, in maggio ha una chance per blindare la legge elettorale e costringerci a votare per lui nel ‘16, nel ‘21 e a seguire. È comprensibile che abbia più fretta di chiudere che voglia di lasciare al Paese un sistema elettorale decente. Gli avversari, fuori e dentro il partito, sono ancora divisi e disorientati; la ripresa, se c’è, troppo debole per reggere una crisi politica: insomma, adesso o mai più. Si va verso la fiducia, e se a Mattarella non piace, pazienza. In fondo anche Mattarella deve tutto al suo grande elettore, e una volta risolta la questione, i suoi pareri non avranno più molta importanza.

È comprensibile che gli esponenti della minoranza Pd non vogliano arrivare a una scissione. Hanno sempre scelto la posizione più ragionevole e responsabile - anche quando era quella che li portava al disastro elettorale. Non sorprende che continuino così, ma prima o poi dovranno prendere atto che sono fuori dal partito. È Renzi che li ha messi ai margini, senza pubblicità ma con determinazione, e adesso si tratta soltanto di scegliere il modo e il tempo per prendere la porta. Ovviamente a nessuno piace trovarsi nel ruolo del guastafeste che riprecipita l’Italia nel baratro della crisi eccetera eccetera. Ma l’Italicum è proprio brutto, e il governo, che cerca di imporlo col voto di fiducia, fuori dalla decenza. Certe occasioni capitano una volta sola, e questa forse è quella per dire a Renzi grazie, ma anche no.
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Giochiamo al 25 aprile (il fascista lo fai tu)

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Non credo proprio che mi leggano, ma gli Amici di Israele, decidendo di sfilare al corteo del 25 aprile senza la bandiera dello Stato di Israele, hanno fatto la cosa più intelligente: e chi ha continuato a fischiarli, nonostante sventolassero solo i simboli di una brigata che combatté nazisti e fascisti, la più sbagliata.

Da ieri chi accusa i filopalestinesi di antisemitismo ha un argomento in più; chi ha interesse a descrivere un’Italia e un’Europa sempre più difficili per gli ebrei, un nuovo episodio da raccontare. Rimane un mistero come tutto questo possa risultare utile alla causa dei palestinesi, di cui sventolate orgogliosi le bandiere: a occhio sembra più un favore ai sionisti, che i vostri fischi rendono più forti. D’altro canto è pur vero che in corteo si procede a tentoni, e da lontano tutte le bandiere si somigliano; che il clima era pesante da settimane; che la richiesta di bandire dal corteo le bandiere palestinesi era una provocazione bella e buona, e l’assenza di bandiere israeliane una relativa sorpresa: è tutto vero, e non vi scusa. Vi siete fatti fregare.

A questo punto il fatto che siate davvero antisemiti o no è irrilevante: era la parte che avevano scritto per voi, e non vi siete posti nessun problema a recitarla. Non si è mai idioti inutili; ci sarà sempre chi dalla vostra idiozia saprà trarre vantaggio, e non è con lui che ha senso prendersela.
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Il Piave mormorò: Meloni, Salvini, ripassate il sussidiario

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70 anni di pace oggi, almeno qui da noi. Non è straordinario? E se non lo festeggiamo, che altro dovremmo festeggiare? Giorgia Meloni, cui la comprensibile stizza per non essere mai stata invitata non perturba il volto ormai splendente di luce propria, ci avvisa che lei sarà sul Piave il 24 maggio, e che bisognerebbe destinare altrettante risorse a celebrare “gli italiani che si sacrificarono sul Piave”, 100 anni fa.

Il 24 maggio?

La pensa così anche Salvini: “Non vogliamo lezioni da nessuno. Io festeggerò il 24 di maggio quando sul Piave morirono i nostri nonni per non far passare lo straniero”.

Il 24 maggio.

Cari Meloni e Salvini: capisco che la carriera politica intrapresa in giovane età può non aver lasciato molto tempo per ripassare nozioni da V elementare, ma è grave che nessun sottoposto vi abbia informato che il 24/5/1915, sul Piave, non morì nessun nonno. È il giorno in cui più a nord attaccammo l’Austria, nostra alleata fino a qualche mese prima, sperando di approfittare del suo impegno su altri fronti. Eravamo noi gli “stranieri” che attaccavano, il 24 maggio.

Le cose non andarono per il verso giusto e due anni dopo arretrammo fino al Piave, nell’autunno ‘17. Fu il momento più tragico della guerra, per cui preferiamo festeggiare la vittoria che arrivò l’anno seguente, il 4 novembre. La celebriamo tutti gli anni, ma le scuole non chiudono e così non ve ne siete mai accorti. Questa cosa di non voler mai lezioni da nessuno, siete sicuri? Perché prima o poi gli esami arrivano.
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Aldo Grasso scopre il mercato del lavoro

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Sulla bufala dei giovani scansafatiche che non vogliono lavorare all’Expo ormai è stato scritto di tutto, tranne forse una piccola cosa che aggiungo qui. Per quanto sia giusto sbugiardare Aldo Grasso, e dimostrare dati alla mano che ha dato credito a una notizia falsa, in realtà in questo caso il problema sta un po’ più a monte: non nella notizia falsa (al Corriere potrebbero pure assumere qualcuno che le verifica, non spenderebbero molto), ma nella retorica che se ne fa.

Se davvero intorno all’Expo c'è offerta di lavoro, e quell'offerta non incontra la domanda, la questione è molto semplice: l'offerta va ritoccata verso l'alto. Il mercato funziona così, e il moralismo non serve a niente (una volta magari a vender copie, ma anche su questo fronte ormai lascia a desiderare). Se davvero chi offre impieghi non trova compratori, si vede che paga poco. Se vuole sul serio trovare forza lavoro, dovrà pagarla un po' di più. Offerta, domanda, è semplicissimo. I giovani non vogliono lavorare per un tozzo di pane? Non si accontenteranno di un tozzo di pane e di una predica di Aldo Grasso. Provate con due tozzi. Non è mica comunismo questo: è una cosa molto più basilare che al Corriere hanno dato per scontato per anni. Liberismo, credo che si chiami.

Dunque, ora che abbiamo preso questo bel Luogo Comune, lo montiamo su una scocca... (Assedio in pausa caffè, 2011).
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Dove ti vedi nel 2021, Matteo Renzi?

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D’altro canto, dicono, potremmo anche provarci. Renzi è uno sbruffone, ma non ha l’aria di un tiranno: vuole semplicemente controllare per 5 anni esecutivo, legislativo e rai. Vuole manovrare liberamente, anche se a fatica arriverà al 40% dei suffragi. Chi siamo noi per negarglielo? Proviamo, in fondo che abbiamo da perdere. Cinque anni.

E poi?

E poi sarà più o meno il 2021; e se l’Italia renzizzata avrà soddisfatto i minimi standard di democrazia occidentale, si verificherà con ogni probabilità l’alternanza: Renzi perderà le elezioni e qualcun altro le vincerà. Quel qualcuno forse oggi non è ancora sceso in campo, oppure è confuso dietro le prime file dei poco credibili avversari di Renzi: Salvini, Di Battista, Fitto... Non ha molta importanza oggi. Ma nel 2021?

Renzi non sarà più la cosa nuova. L’alternativa potrà essere un postleghista alla Salvini, o un postgrillino, o un postfascista, o un postberlusconiano. Se questo post-qualcosa-di-inquietante riuscirà a mettere assieme il 40% di malcontento, controllerà per cinque anni esecutivo, legislativo e rai, e nessuno potrà impedirglielo. Non c’è in Italia nulla di simile alla clausola antifascista che in Francia ha sbarrato la strada per quarant’anni ai Le Pen. Abbiamo già avuto Berlusconi ed ex fascisti al governo, e ne portiamo i segni. Nel 2021 potrà risuccedere: chi ne sarà ritenuto responsabile?

D’altro canto, dicono, potremmo provarci lo stesso. Forse (pensano) il 2021 non arriverà mai. Oppure Renzi vincerà per sempre.
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Chi è degno di sfilare il 25 aprile? (io no)

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Qualche lettore amico di Israele ha trovato molto grave che in un pezzo di 1500 caratteri sulle bandiere israeliane al corteo del 25 aprile, io non abbia trovato posto per una riflessione sul Gran Muftì di Gerusalemme, il leader arabo che si alleò con Hitler contro gli ebrei. Sarà forse revisionismo il mio? Spero di no; a mia discolpa potrei obiettare che il Muftì non è il fondatore dell’indipendentismo palestinese, e la sua bandiera non è proprio quella che sventolano i palestinesi - come la bandiera della Brigata Ebraica non è quella di Israele. Ma forse sono solo patetiche scuse. Se nella tua storia c’è un alleato di Hitler, non sei degno di sfilare nel corteo della Liberazione. Togliamo dunque le bandiere palestinesi. E i filopalestinesi in generale.

Bundesarchiv Bild 146-1978-070-05A, Amin al Husseini
bei bosnischen SS-Freiwilligen di Bundesarchiv,
Bild 146-1978-070-05A / Mielke / CC-BY-SA.
Con licenza CC BY-SA 3.0 de tramite Wikimedia Commons.
A questo punto però temo di non poter venire neanch’io, perché… mio nonno era nell’esercito regio. Tempo di sparare un colpo ed era già prigioniero in Sudafrica, e però indubbiamente prese ordini da alleati di Hitler. Lo fecero tutti i nostri nonni, anche quelli che poi diventarono partigiani; il che forse ci impedisce di sventolare un tricolore così simile a quello di fascisti e repubblichini, e di accompagnare i filoisraeliani al corteo del 25/4.

D’altro canto, se li lasciamo soli, che penseranno di noi? Forse che li stiamo deliberatamente isolando, accerchiando? E allora che si fa? Davvero non lo so. Cari amici di Israele, ditelo voi cosa possiamo fare. Io vorrei tanto non offendervi, ma mi domando se sia più possibile.
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Tanto poi ci pensa Piripacchio

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D’altro canto - dicono - l’italicum sarà anche brutto, forse non del tutto costituzionale e neanche tanto democratico, però… è pur sempre qualcosa, no? Si poteva fare di meglio? Certamente. E però il meglio è nemico del bene. Come dice l’intellettuale: “Un paese riformista è un paese che fa un sacco di cose insufficienti”! Il riformismo pare funzioni così: si scrivono leggi brutte che sono sempre meglio che niente, e poi… e poi al massimo se davvero sono scritte così male le miglioreremo. Facciamo sempre in tempo a migliorarle, no?

Senza dubbio, che fretta c’è.

Mettiamo che Renzi l'anno prossimo vinca col 40%... ma perché proprio Renzi, sembra quasi che ce l'abbia con lui. Mettiamo che l’anno prossimo un signor Piripacchio vinca col 40%. In parlamento avrà una maggioranza solida per cinque anni, composta per una buona parte da persone nominate direttamente da lui. Agli altri partiti non resterà un po' di spazio tra parlamento e media per il talent-show in cui chi strepita di più sarà eletto anti-Piripacchio: l’unico che avrà qualche chance di raggiungere il ballottaggio alle elezioni successive. Nel frattempo Piripacchio governerà indisturbato, controllando tra l’altro tutte le emittenti di Stato. Per cinque anni.

Ecco, in questi cinque anni io me lo immagino proprio, il signor Piripacchio, mentre pensa: certo che la legge elettorale che mi ha così indegnamente favorito… era proprio scritta male. Aspetta, aspetta che la miglioro un po’. Aspetta, aspetta, certo, certo.
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La buona scuola, un po' islamica, di Renzi

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"Deve essere chiaro che noi non lasceremo la scuola ai sindacati, la scuola è delle famiglie e degli studenti”.

Caro presidente Renzi, vorrei rassicurarla: nessun sindacato si prenderà la scuola. Si tratta di pacifiche organizzazioni di lavoratori che lottano per ottenere migliori condizioni di lavoro - è un nostro diritto, da qualche tempo.

Quanto alla scuola, no: non è “degli studenti”, che fino a 16 anni sono obbligati a frequentarla, né delle famiglie. Non è ancora nemmeno del preside-manager previsto dalla Buona Scuola, che tra pochi mesi deciderà tutto in totale autonomia. La scuola pubblica, perlomeno, è della collettività: e infatti al suo mantenimento partecipa in uguale modo sia chi ha figli, sia chi no e nemmeno ne vuole. Anch'essi hanno comunque interesse ad avere nel proprio quartiere scuole frequentate e funzionali, e vicini alfabetizzati e avviati a professioni ed esistenze dignitose. Questo è l'obiettivo della scuola di Stato, cioè di tutti.

Se poi qualche famiglia chiede per i propri figli qualcosa di più, nessuno glielo impedisce: ma dovrebbe procurarselo con le proprie risorse, non con quelle dei contribuenti. Non coi miei soldi, insomma; nella Costituzione almeno c'è scritto così (invece, nell'ultimo romanzo di Houellebecq, l'eurocaliffo taglia i fondi pubblici all'istruzione e ristruttura la società intorno alla cellula famigliare. È un leader islamico, ovviamente, ma molti nostri leader cattolici non avrebbero un granché da eccepire).
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Mentre Salvini rifà l'Impero, ti offro un caffè

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Certo, si potrebbe risolvere il problema come dice Salvini: cioè in pratica... sbarcare in Libia, Tunisia, Egitto, e occuparne tutta la regione costiera. L'ultima volta che ci siamo riusciti ci chiamavamo ancora Impero Romano, ma se vi sembra un'alternativa praticabile, perché no.

Oppure potremmo limitarci alla proposta più terra-terra della Santanchè, che in sostanza propone di monitorare la costa africana 24 ore su 24 con aeroplani pronti ad affondare qualsiasi barcone prima che lasci il porto. Toccherà immagino acquistare qualche f35 in più, ma se dite che conviene avrete senz'altro fatto i vostri conti.

http://www.ansa.it
Se invece non ne potete più di ascoltare proposte del genere dal collega, o dall'amico, o dal conoscente al bar o su facebook, c'è una cosa molto semplice e tranquilla che potete fare: lasciatelo parlare e offritegli un caffè. Va bene anche quello alla macchinetta.

Quello a un certo punto dovrà pur smettere di parlare di barconi e invasioni ed Eurabia per accostare al labbro la tazzina: ecco, profittate di quel breve momento per spiegargli quanto gli costava l'operazione Mare Nostrum (quella che ha salvato 160.000 migranti in un anno). Un caffè al mese. Quel caffè.

Che moltiplicato per 38 milioni di contribuenti italiani, per 12 mesi, ha evitato per un anno disgrazie come quella di ieri. Bastava un caffè.

Ma forse conviene mandare gli f35 in rotazione. O rifare l’impero Romano. Lo saprà bene Salvini, avrà fatto i suoi conti.
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Ne uccidiamo più dell'Isis

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È una relativa fortuna che i cristiani d’Africa non abbiano grandi possibilità di accedere alle dichiarazioni di Giorgia Meloni, o agli editoriali del Giornale. In caso contrario avrebbero avuto, almeno fino a ieri, la netta sensazione di essere al centro delle preoccupazioni dei loro correligionari italiani. E in effetti i cristiani africani interessano alla Meloni o a Salvini, ma solo quando muoiono per mano di qualche islamico. Se annegano sono meno interessanti.

Anche la Santanchè: non è che li vuole morti (anche se non le dà certo fastidio che qualcuno lo pensi). Magari è davvero convinta che intercettare i barconi coi caccia costi meno che soccorrerli.

A proposito di massacri. C’è chi sostiene che Stalin e Mao siano da giudicare sullo stesso piano di Hitler: per quanto i loro massacri fossero meno pianificati, e più spesso risultato di negligenza e scarsa organizzazione. Sono d’accordo: tendo a giudicare le persone dai risultati, più che dalle intenzioni. Credo che nel futuro sempre più persone la penseranno come me: e riguardo alle stragi di cristiani intorno al mediterraneo, non faranno tutta questa differenza tra integralismo islamico e xenofobia italiana. Ha ucciso più cristiani Al Qaeda, o la negligenza del ministro Maroni? Più l’Isis, o la decisione di sospendere Mare Nostrum (900 vittime in un solo anno)? La conta dei morti non si potrà mai fare, anche perché il battesimo non lascia segni. Dio magari i suoi li riconosce, ma per il mare sono tutti morti uguali.
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Le due verità del poliziotto

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Su almeno una cosa avevi ragione: esistono sempre due verità. La prima ti fa grosso con gli amici; la seconda ti salva il culo quando rischi il posto.

Quindi è vero che eri alle Diaz; però è vero che non hai picchiato nessuno.

È vero che volevi contrapporti "con giovane vigoria", ma è vero che "fu tortura", "fu uno scempio".

È vero che tu e i tuoi colleghi si sentono i "perfetti capri espiatori", ma è vero che nessuno di loro ha pagato un bel niente fin qui: e anche tu, se fossi stato solo un po' più attento con facebook, l'avresti passata ancora più liscia. Esistono sempre due verità.

Io per esempio dovrei essere contento. Ho visto un tizio che faceva lo sbruffone, e poi l'ho visto costretto a fare dietro-front. Spettacolo istruttivo e un po' liberatorio. Questo è vero.

D'altronde.

Prima sapevo solo che mi odiavi; adesso so che all'occorrenza puoi cambiare verità, e tradire anche te stesso. Avrai ancora qualche temporaneo fastidio e poi tornerai in servizio. Se mi troverò davanti a te, che verità sceglierai? E chi potrò chiamare, in quel momento? Di chi mi potrò fidare?

Qualcuno in seguito potrà sempre dire ai giornali che c’era e non ha visto niente - e agli amici che lo rifarebbe.
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La scuola sciopera? Sul serio?

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Se davvero il 5 maggio si farà uno sciopero unitario della scuola, sarà il primo dal 2008. I miei studenti di allora fanno l'università. Erano i tempi della Gelmini: le LIM che regalò perdono i pezzi. Le subentrò Profumo, che propose di aumentarci di un terzo l'orario a 0 euro. Poi si rimangiò tutto e nemmeno quella volta si fece uno sciopero unitario. Arrivò la Carrozza e adesso c'è la Giannini - e forse per la prima volta dopo 7 anni sciopereremo assieme. Quelli che scioperano ancora: molti colleghi non ci credono più. Qualche volta se non si riesce a prendere un permesso si dà un'occhiata alle comunicazioni, hai visto mai che qualche sigla sia in sollevazione, un cobas o una gilda. Ma scioperi veri, quelli che chiudono le scuole - chi li ha visti mai, chi se ne ricorda.

Per tutti questi anni, ogni volta che avete sentito dire che questa o quella riforma sulla scuola erano stati bloccati dalle proteste compatte degli insegnanti, avete sentito una verità molto parziale - se non una pietosa bugia. Nessuno sciopero è stato particolarmente riuscito, nessuna sollevazione avrebbe bloccato nulla, se dall’altra parte ci fossero state proposte chiare e una determinazione politica. Ma non c’erano. Per molto tempo, l’ostilità della classe docente è stato un comodo alibi per una politica che alla scuola non voleva davvero metter mano. Era più comodo sparare proposte impossibili e poi lamentarsi dell’ostilità dei prof. Almeno questo equivoco finisce il 5 maggio. Forse.
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Il sogno di Almirante

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L'Italia non si è ritrovata repubblica parlamentare per caso. A monte di questa scelta, l’orrore per ciò a cui ci aveva portato la mistica dell'uomo forte. La sospensione dei diritti civili; la stagnazione economica; le sciagurate avventure coloniali; le leggi razziali; la folle idea di entrare in una guerra mondiale salendo sul carro armato del vincitore. A lungo nessuno osò più parlarne, fuorché Almirante e i suoi nostalgici. Più tardi Craxi pensò che gli italiani si fossero lasciati alle spalle i fantasmi e fossero pronti ad apprezzare un po’ di decisionismo leaderistico. Sbagliò tempo (di poco).

La fiaccola presidenzialista passa a Berlusconi, che - constatata la difficoltà di far passare una riforma tanto radicale - è il primo a proporre presidenzialismi camuffati. La riforma Calderoli (2005) obbliga le coalizioni a scrivere sulla scheda il candidato premier. Un’evidente forzatura della costituzione: spetta al presidente della Repubblica nominare il capo del governo, dopo aver consultato il parlamento che rappresenta gli italiani senza vincolo di mandato. Abbiamo poi scoperto che era una legge incostituzionale.

E l'Italicum? I cittadini voteranno Renzi, e la mattina Renzi salirà a ricevere l'incarico da Mattarella. Un atto dovuto che renderà pleonastico lo stesso Mattarella, e la cerimonia seguente con cui deputati scelti su liste stilate da Renzi voteranno la fiducia al governo Renzi - nel caso in cui vinca le elezioni: il che, viste le alternative, è persino augurabile.
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Perché non lo chiami presidenzialismo, Matteo Renzi?

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Ancor prima del contenuto dell'Italicum, a infastidirmi è il pacchetto. Ovvero: se Renzi dichiarasse: “Sai che c’è? La repubblica parlamentare ha stancato, passiamo al presidenzialismo!” almeno ne apprezzerei la sincerità. E potrei obiettare che condivido la diffidenza dei padri costituenti nei confronti dell’uomo solo al comando. D’altro canto di repubbliche presidenziali ne esistono tante, e per lo più non si tratta di Stati totalitari. Alla Francia è già successo di passare da parlamentare a presidenziale, e il risultato non è stato catastrofico. Quindi se Renzi pensa che una cosa del genere possa andare per l’Italia, potrebbe dirlo.

Invece si guarda bene dal chiamare presidenzialismo il pacchetto che ci sta vendendo. Come Berlusconi prima di lui, che si contentò di stampigliare il suo nome sul simbolo del partito, e sostenere (non a torto) che la gente votava per lui e non per il partito. Renzi vuole a tutti i costi che gli elettori conoscano il nome del vincitore la sera delle elezioni: il parlamento avrà un ruolo pleonastico, e comunque sarà in buona parte composto da persone scelte da lui. Da cui il sospetto: ma se il presidenzialismo è davvero un prodotto così buono, perché non lo chiami col suo nome? È anche una questione di rispetto. Se ha il collo di una giraffa, le orecchie e le zampe di una giraffa, perché non ammetti che mi stai vendendo una giraffa? O mi credi un cretino o... non mi vengono alternative, mi sa proprio che mi credi un cretino.
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Ma cos'è questa storia che non possiamo insultarvi su facebook?

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Ieri Tortosa era fiero d’essere stato alle Diaz e lo avrebbe rifatto 1000 volte; appena Repubblica se n'è accorta ha fieramente cancellato il suo scritto su Facebook, (probabilmente lo cancellerebbe altre 1000 volte). Al telefono ha spiegato che era là ma non ha visto niente, non sa niente, è stato travisato. Finirà sotto inchiesta, una gran seccatura, e tutto questo perché? Ha solo scritto che loro poliziotti ci odiano perché non abbiamo la tuta e siamo radical chic. Ha scritto quel che pensa. È colpa sua se non ha capito che Facebook è un luogo pubblico, e che occorre riflettere prima di rovesciarvi scemenze da bar?

Non è una domanda retorica.

È la stessa che sollevava ieri Gramellini: in fin dei conti cosa ha fatto la povera Paola Saluzzi? Ha scritto che Alonso è un imbecille. Vabbe', spiega Gramellini, "gli ha dato dell’imbecille su Twitter, non in tv". È solo Twitter! Adesso non ci si può più dare dell'imbecille su Twitter? E Alonso osa prendersela? E Murdoch sospenderla? Ma mica per buona educazione, sapete, solo per “gli interessi economici”. Cioè al giorno d’oggi l’educazione serve anche a fare affari, signora mia. Ma davvero uno se la può prendere per un imbecille su Twitter?

Anche questa non è una domanda retorica.

Sono due domande sceme. No, non potete offendere chiunque in pubblico. No, se qualcuno se la prenderà non potrete sempre contare sulla solidarietà della vostra categoria. Ai vostri figli perlomeno lo stiamo insegnando: speriamo che a casa ve lo spieghino.


(Ma non avevo dubbi, guarda).
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Il poliziotto che pestava ragazzi disarmati con vigore cameratesco

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Sarebbe più interessante se fossero i poliziotti a raccontare cosa fu Genova per loro, mi dicevo. Lunedì ho letto di Gianpaolo Trevisi, che era là fuori a mettere la faccia davanti ad Agnoletto, e per l’occasione ha proiettato Diaz ai suoi allievi, invitandoli a riflettere sul fatto che “nella maggior parte dei film o delle serie televisive, grazie alle quali molti amano la Polizia, è quasi tutto inventato e nell'unico, forse, unico film che ci distrugge è tutto drammaticamente vero, in quanto basato su fatti processualmente verificati”.

Vedi che qualcosa è cambiato, mi sono detto. Ma proprio allora inciampo in un altro poliziotto che ci informa che lui quella notte c’era, e che lo rifarebbe mille volte: altri mille denti cavati a mille studenti disarmati? Finalmente, tra gli insulti a chi è abbastanza morto da non poter replicare, scopriamo perché bisognava assolutamente pestare a sangue gente in sacco a pelo:

“Quello che volevamo era contrapporci con forza, con giovane vigoria, con entusiasmo cameratesco a chi aveva, impunemente, dichiarato guerra all'Italia, il mio paese".

Caro poliziotto, mi spiace se ora finirai nei guai soltanto perché hai voluto essere sincero su facebook. Mentre quando spaccavi ossa nessuno ti ha fatto niente. Il punto è che tu pensavi di contrapporti con forza e giovanile vigoria, ma quel che è successo è che hai bastonato degli indifesi disarmati. Non ti sei coperto di gloria, ma di un’altra cosa. Tu e lo Stato che magari da stasera non rappresenti più.
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Spendi spandi spending review

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Qualche tempo fa Enrico Letta, salito un attimo a palazzo Chigi per tenere il posto in caldo, constatata la necessità di tagli drastici ma non scriteriati, nominò Carlo Cottarelli commissario straordinario per la revisione della spesa. Si trattava di un compito di una certa responsabilità, e Cottarelli non lo prese sottogamba. Provvide anzi alacremente a nominare una nutrita schiera di collaboratori, suddivisi in venti sottogruppi che, nel giro di un anno, produssero una serie di rapporti ora finalmente disponibili on line. Non c’è dubbio che sfogliandoli ci si possa fare un’idea su quali siano i tagli necessari e non più posticipabili.

Ma sono ottocento pagine.

Non resta che nominare una commissione che se li legga e ci faccia un riassunto, tanto più esauriente se la si dividerà a sua volta in una diecina di sottocommissioni, ognuna con un capitolo specifico da studiare e sintetizzare. Quando si tratta di risparmiare, da noi non si bada alle spese.

(Visto che mi avanzano un po’ di caratteri, li regalo a Francesco Daveri: Fino a che la politica dà in appalto ai tecnici la stesura di un listone di cose da fare, anche radicali, non si va da nessuna parte. Le listone dei chirurghi dei tagli sono montagne che hanno finora partorito solo il topolino della listina di spesa “aggredibile”. Con l’unico risultato che la spesa pubblica in percentuale sul Pil è aumentata di tre punti dal 2003 a oggi, per un totale di cinquanta miliardi in più.)
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A certe feste si va per litigare: il caso 25 aprile

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In 1500 caratteri la farò semplice. Questa è la bandiera della Brigata Ebraica, che diede un nobile contributo alla guerra di liberazione dal nazifascismo.



Bella. Questa è quella dello Stato di Israele, nato poco più tardi, che da tempo occupa alcuni territori dove secondo la comunità internazionale dovrebbe sorgere lo Stato di Palestina.



Pur simili, rappresentano cose un po' diverse. Perciò credo sarebbe stato utile, negli anni scorsi, portare nei cortei del 25/4 soltanto la prima, magari cogliendo l'occasione per spiegare che non era la seconda; e che la stella in sé rappresenta l'ebraismo, non uno Stato che ha una storia gloriosa ma non ha contribuito alla guerra di liberazione italiana (non ha fatto in tempo), e in questo periodo sta occupando territori di un altro Stato.

A quel punto chi venisse comunque a fischiare non ci lascerebbe dubbi: non fischierebbe Israele, ma l’ebraismo. Non esprimerebbe un sostegno alla Palestina, ma il proprio antisemitismo. Purtroppo non è mai successo.


Perlomeno, in tutte le foto che mi è capitato di vedere di cortei del 25/4, per ogni bandiera della brigata ebraica ne ho vista una dello Stato di Israele. E quindi? Niente, fate come credete. Ma non venite a dire che il 25 aprile è di tutti e che non volete litigare. Il 25 aprile non è mai stato di tutti; c’è sempre stato qualcuno che voleva litigare. Chi viene con la bandiera di Israele - e vuole fuori quelli con la bandiera della Palestina - non sarà il primo, ma non è da meno.

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Non nutrite il Langone (se potete)

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C’è una specie di tacita alleanza, tra chi come Camillo Langone ormai da anni non fa altro che spararle grosse, più grosse che può, e chi, all’ennesima sparata, proverà gusto a rispondergli: vergogna, Langone, che hai scritto? Che Samantha Cristoforetti invece di diventare astronauta doveva restare vicina al suo uomo? Ma vergognati, ma quanto sei retrogrado (e quanto sono io all’avanguardia se invece lo faccio notare... )

È un gioco delle parti, da molti praticato in buona fede. No, L. non è un retrogrado. Scrive su un giornale che ha anticipato di alcuni anni le dinamiche di Internet. Il Foglio era un blog di carta, prima che nascessero i blog: e sul Foglio, da troppi anni, Langone ci sta semplicemente trollando.

Dietro la sua maschera di viveur bigotto, c’è un tizio che si eccita in privato leggendo le vostre reazioni stizzite. Un po’ triste, a mio parere. Non ha mai scritto nulla che sappia davvero di cattolico al palato dell’intenditore; se qualche prete lo legge, lo fa per divertimento come dovreste fare voi. Credo sia l’ultimo al mondo a cui freghi davvero qualcosa dell’h del nome Samantha (un po’ fastidiosa, l’ammetto). Si nutre dei vostri contributi e della vostra rabbia: se i primi non c’è verso di interromperli, quest’ultima meriterebbe bersagli più sinceri.

D’altro canto capisco la tentazione: le spara così grosse. E se la intercetto io per primo, e rilancio a tono, poi tutti mi verranno a sollevare. Lo so, lo so come funziona. Non posso certo giudicarvi.
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Addio Friendfeed, mi piacevi

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Facebook non ha inventato il tasto mi piace. Fu un altro social network a introdurlo nel 07, Friendfeed. Mai sentito parlare? Eppure è sempre stato più veloce, più semplice, elegante, e senza pubblicità. Infatti dopo due anni Facebook lo comprò, ne utilizzò il codice e poi lo abbandonò a vivacchiare su un server. Ff era così ben progettato che ha continuato a funzionare fino a venerdì, quando (dopo un mese di preavviso) l’ultimo dipendente che lo gestiva ha staccato la spina.

È stata un’agonia dolcissima. I suoi utenti - tra cui un’affezionata migliaia di italiani - gli sono stati vicini fino all’ultimo, celebrandolo addirittura con feste nella vita reale. Il trito rituale quotidiano con cui tutti consultiamo le solite pagine ogni mattina da 5 o 6 anni si è interrotto, e abbiamo ritrovato contatti persi di vista, rispolverato vecchie storie, conosciuto persino facce nuove. La morte migliore che un social network si possa augurare.

Friendfeed non esiste più, ma lascia ai suoi utenti un gran ricordo. Fino all’ultimo è rimasto una bella palestra, e non diventerà mai una copia disabitata di sé stesso, come MySpace o SecondLife. Forse tutti i social network andrebbero falciati ogni 5 anni. Non potendo cambiare casa, lavoro o città, sarebbe sano potersi lasciare alle spalle almeno la paginetta a cui diamo un’occhiata ogni mezz’ora. Perderemmo forse qualche contatto, qualche “amico”? Ma uscendo fuori a cercarlo, chissà quante cose nuove scopriremmo. Ciao Ff, mi sei piaciuto.
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Il ritorno del no global pentito (un'esclusiva per il Foglio)

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Sul Foglio.it campeggia la letterina di un tizio che andò minorenne al G8 di Genova, "aizzato" tra l'altro da una trasmissione di Fabio Volo (?) Dopo aver preso un po' di mazzate, invece di tamponarsi la testa sanguinante si unì a un gruppo di devastatori, provando un inedito "furore punk" - ma sfogandosi su una vetrina già rotta "per solidarietà". Comunque se n’è pentito. Se n’è pentito davvero tanto. A Genova "quasi tutti fummo colpevoli", dice, ma nessuno ammette i propri errori. Parla per te, è la più ovvia reazione: io non ho rotto niente e mi caricavano comunque. Ma non è questo il problema.

I ragazzi erano seduti a terra con le gambe
 incrociate e le braccia in alto, quando furono
trascinati via dagli uomini della Digos.
Perugini e quattro sottufficiali falsificarono
i verbali della cattura, farcendoli di bugie.
Durante il trasferimento in macchina al carcere,
due dei no-global furono minacciati con
una pistola: Vi ammazziamo, bombaroli di merda".
Il testo è di 4 anni fa: chissà se l’autore nel mentre si sarà liberato dal senso di colpa per la povera vetrina. Il suo racconto da piccolo Fabrizio Del Dongo alla battaglia sembra mescolare episodi del 20 (agguati e camionette) e del 21 (corteo sul lungomare), il che non significa che sia falso: capitò a molti in quei giorni di confondere ricordi personali con le immagini che venivano riversate in tv o internet. Neanche questo è il problema.

È che alla fine tutti questi racconti sono uguali: treno-mazzate-devastazioni-treno. Quanto sarebbe più interessante un coraggioso sito o foglio che pubblicasse il ricordo di un poliziotto giovanissimo, addestrato da “maestri” che gli raccontavano di gavettoni di sangue infetto, e poi mollato in libertà a sparare controvento gas urticante e picchiare i primi che incontrava. Quella sì, che letterina sarebbe. Com'è che non la scrive nessuno.
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Gli stragisti italiani e i loro cattivi maestri

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"Semmai lo Stato ci tortura lasciando mano libera ai magistrati", scriveva giusto ieri Sallusti, in un pezzo dichiaratamente senza vergogna. Oggi Claudio Giardiello ha impugnato una pistola - mirava a un pubblico ministero - e ha ucciso un giudice e un avvocato. Può darsi che non fosse un lettore di Sallusti. Potrebbe essersi perso quel folle pomeriggio di tre anni fa, quando il signor Martinelli entrò armato in un ufficio postale e fece 15 ostaggi: e poiché non era un integralista islamico, né un black bloc, ma un imprenditore che non voleva pagare il canone RAI, Bossi affermò che andava "capito", e Fabrizio Rondolino lo definì "un eroe" che lottava "per le nostre libertà naturali". Un eroe ancora barricato in un ufficio postale con fucile a pompa, due pistole e 15 ostaggi.
https://twitter.com/loffio

Può darsi che di questo "brutto clima" di cui si lamenta l'ex pm Gherardo Colombo, non siano responsabili gli organi di stampa inflessibili coi no-tav e pieni di comprensione per la sofferenza di chiunque sia in difficoltà coi pagamenti - purché abbia un cognome italiano. "Compagni che sbagliano", si diceva una volta: adesso sono più spesso imprenditori, ma insomma, vanno capiti. Sparano, feriscono, uccidono: ma interpretano un disagio reale. Ecco, chiunque scriva queste cose, sappia che almeno per quanto mi riguarda fa lo stesso schifo di chi scusava il terrorismo brigatista 40 anni fa, e quello islamico oggi. Magari non siete responsabili, no. Sicuramente siete irresponsabili.
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Non c'è "devastazione" che spieghi le Diaz, basta con le cazzate.

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C’è ancora chi si attenta a difendere la polizia. Di fronte alla sentenza limpida, incontestabile di Strasburgo, c’è chi insiste a trovare attenuanti: “a Genova fu il finimondo”! Certo che ci fu: e le forze dell’ordine vi parteciparono, sparando per ore fumogeni a caso, caricando cortei pacifici mentre black bloc e altri vandalizzavano indisturbati la città. Poi, la sera, arrivarono in un dormitorio e bastonarono persone indifese già nel sacco a pelo. Questo accadde, questo risulta dalle sentenze.

Chi vuol far passare la macelleria delle Diaz per una reazione a caldo, giustificata da un’emergenza, mente ai lettori e forse a sé stesso. I macellai delle Diaz non erano isolati e in panico come in piazza Alimonda: avevano ricevuto un certo tipo di preparazione e ordini precisi (da chi?), e li eseguirono con freddezza.

Secondo Sallusti stanno torturando i poliziotti.
Che Sallusti non si vergogni di loro non sorprende: Sallusti non si vergogna per definizione. Anche dal Foglio cosa pretendere più che un inchino a qualsiasi mano stringa il bastone. Come andarono le cose, solo il vecchio Cossiga poteva permettersi di spiegarcelo: “infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città… Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri”. Cossiga, attenzione, non parlava di Genova. Parlava in generale.

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Cestaro è un eroe, ma alle Diaz fu davvero "tortura"?

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Ad Arnaldo Cestaro, l’uomo tranquillo che a 62 anni cercò di mettersi tra i giovani accampati nella scuola Diaz e le guardie impazzite che avevano fatto irruzione, dobbiamo più che una semplice riconoscenza. Cestaro poteva morirne; ne riportò danni permanenti. Da allora non ha smesso di testimoniare e denunciare quanto successo, finché anche a Strasburgo non gli hanno dato ragione: quel che accadde la sera del 21 luglio 2001 fu tortura, e se in Italia manca ancora una definizione giuridica del concetto, peggio per noi. Dobbiamo questo al signor Cestaro, che poteva starsene in un angolo zitto e buono, e si alzò a difendere ragazzi che avevano la mia età. Non ha ancora smesso: a 75 anni li sta ancora difendendo.

Detto questo, confesso una perplessità. Per la Treccani la tortura consiste in “varie forme di coercizione fisica applicate a un imputato, più di rado a un testimone o ad altro soggetto processuale, allo scopo di estorcere loro una confessione o altra dichiarazione utile”. La definizione si può applicare al caso Bolzaneto, ma non aiuta molto a comprendere quanto stava accadendo nello stesso momento alle Diaz: più che tortura, “macelleria”, come la chiamò un poliziotto. I colleghi che roteavano i manganelli sui denti di manifestanti nel sacco a pelo non stavano cercando informazioni. L’ordine era un altro: spaventarci? Alzare ulteriormente una tensione già insostenibile? Ancora non lo sappiamo. Ma la risposta è tra noi, non è che Strasburgo possa aiutarci anche in questo.
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La fine del mondo non è più quella di una volta

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Pasqua è ormai alle spalle: è tempo di sciogliere il nodo al fazzoletto. Un anno fa m’ero promesso di ripescare una profezia di Beppe Grillo e verificare cosa si fosse realizzato. Vediamo. “Tra un anno di Berlusconi rimarrà il ricordo, di Napolitano neppure quello”. Uhm. “Renzie sarà ricordato come uno zimbello, come il dito inserito in un buco della diga prima della crepa definitiva. Si apriranno finalmente processi come MPS e i nomi della trattativa Stato-mafia saranno espulsi dalle Istituzioni”. L’unico ad aver mollato è Napolitano, ma era una previsione alla portata di chiunque.

È difficile fare gli indovini. Un anno fa anch’io mi ci provai: “molte cose cambieranno", scrivevo, "ma Grillo sarà ancora in qualche piazza o qualche teatro, ad annunciare che la fine dei tempi è vicina e un’altra Italia è alle porte”. Sbagliavo anch’io, Grillo è stanchino, meno incline a calendarizzare apocalissi giudiziarie. Anche i testimoni di Geova, dopo essere sopravvissuti a due o tre fini del mondo annunciate, smisero di fornire scadenze precise. Il grillismo è in quella fase delicata in cui gli adepti prendono atto che la fine dei tempi non è così vicina, e si pongono il problema di gestire un movimento nel medio-lungo periodo: occorrerà indicare obiettivi intermedi (il referendum sull’euro), creare una gerarchia, ecc. Ce la faranno? Può sembrare un’impresa disperata, eppure il precedente dei seguaci di Cristo (che si posero lo stesso problema 19 secoli fa) è abbastanza incoraggiante.
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Certi africani sono più morti di altri

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Quando 10 anni fa arrivarono i primi video di decapitazioni dall’Iraq, alcuni opinionisti iniziarono a invitarci a non distogliere lo sguardo, perché solo guardando quei video avremmo capito davvero cos'era il Terrorismo. Una singolare sintonia coi terroristi che quei video li giravano e diffondevano: curiosamente Al Zarqawi e Antonio Polito desideravano da noi la stessa reazione, più di pancia che di cervello. Perché alla fine in quelle decapitazione c’era poco da capire, e molto da soffrire.

Col tempo l’invito a non distogliere è diventato un genere a sé. Sabato Paolo Giordano ci invitava a “riguardare l’immagine della strage di Gaiassa sostituendo “alla pelle scura dei volti schiacciati una carnagione chiara”. Altrimenti rischieremmo di sentirci “solo timidamente partecipi”, come davanti alle foto dei massacri in Ruanda. Invece occorre empatizzare di più, perché le vittime sono cristiane (ma veramente anche in Ruanda...), perché “ci assomigliavano, perché cristiani e attratti dalla stessa cultura universale sulla quale si fonda ogni atto quotidiano. Il loro peccato imperdonabile era di essere come noi”.

E se invece non avessero voluto essere come noi, come le vittime musulmane dei cristiani che in Centrafrica hanno distrutto 417 moschee? O come gli abitanti musulmani di Gaiassa che furono massacrati da un governo ‘cristiano’ nel 1980? In quel caso, mi par di capire, sbiancare la pelle non servirebbe a niente: c'è nero e nero, non tutti meritano la nostra preziosa empatia.
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Peggio dei Maya

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Immaginate un’antica civiltà che misurasse il tempo in cicli solari di 365 rotazioni terrestri (aggiungendo una rotazione ogni quattro cicli), o “grande computo”, e in cicli più corti di sette rotazioni terrestri, o “piccolo computo”. La settima rotazione era un periodo dedicato a riposo e preghiera. Si noti che 365 non è un multiplo di 7, e che quindi ogni ciclo del grande computo cominciava in un momento qualsiasi del piccolo computo e viceversa.

Quest’antica cultura conosceva già gli equinozi, ovvero i momenti in cui i raggi solari sono perpendicolari all’asse di rotazione terrestre, e in tutta la terra luce e buio durano lo stesso periodo. In ogni ciclo del grande computo avvenivano due equinozi, a uguale distanza: il primo segnava l’arrivo della bella stagione, il secondo la sua fine.

Infine, tra grande e piccolo computo ve ne era un altro, intermedio, che andava da un plenilunio e l’altro. Siccome i pleniluni avvengono ogni 29 rotazioni terrestri e ½, anche questo computo era indipendente dagli altri due.

Quest’antica civiltà aveva varie feste, tra le quali una delle più importanti si festeggiava una volta ogni grande computo, nella settima rotazione del piccolo computo successiva al primo plenilunio successivo al primo equinozio. Non era molto facile calcolarla, no. Quell’antica civiltà siamo ancora noi, e oggi è la prima domenica successiva al primo plenilunio di primavera. Buona Pasqua.
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A che serve un ministro a pedali

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Sono probabilmente da iscrivere tra i gufi irriducibili a cui le foto di un ministro che si reca in ufficio a pedali non fanno né caldo né freddo. In compenso, prometto che non avrò nulla da ridire appena si scoprirà che anche il nuovo ministro delle infrastrutture Graziano Delrio, per spostarsi più rapidamente tra un cantiere e l’altro, si avvale se necessario dell’elicottero (come è capitato a Renzi). L’importante è che faccia bene il suo lavoro, in un ruolo così delicato. Con un po’ di attenzione, Delrio potrà far risparmiare a noi contribuenti mille volte di più che sostituendo un’auto blu con una bicicletta.

Più che la frugalità esibita servirà una certa prontezza di riflessi, che quando faceva il sindaco non ha sempre mostrato. Il Delrio che non vorrei più vedere non è un Delrio in elicottero o in jet, ma il Delrio appiedato che da sindaco di Reggio Emilia partecipa nel 2009 a una processione religiosa a Cutro (Crotone) ignorando del tutto di trovarsi nella capitale della ‘ndrina che tanti interessi aveva nella sua città. E dire che gli sarebbe bastato leggere il rapporto sulla criminalità organizzata pubblicato dal suo stesso Comune un anno prima. Da quella inchiesta, è necessario ricordarlo, Delrio è uscito pulito come un bambino. E anche adesso, a vederlo pedalare spensierato, viene il sospetto che il ministro debba ancora fare qualche caduta seria, di quelle che aiutano a crescere. In bocca al lupo e speriamo bene.
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La democrazia, ovvero comanda Renzi

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Voglio credere che la polemica di Bersani sulla legge elettorale sia più di un pretesto, come sostiene Renzi. Provo a riassumere in 1500 caratteri: c’era una volta una cosa chiamata democrazia parlamentare, che prevedeva grosso modo che il governo fosse espressione di una maggioranza di parlamentari, a loro volta espressione di una maggioranza di elettori. Poi arriva Matteo Renzi, con l’entusiasmo dei neofiti, e propone una nuova idea di democrazia che prevede che il governo sia l’espressione di Renzi, a prescindere da quanti voti prenda. I sondaggi dicevano 35%? Nella prima bozza il premio di maggioranza era a 35. Poi i sondaggi sono migliorati ed è salito a 37. Alle europee ha vinto col 40, e ci ha fatto questa grande concessione per cui ci governerà solo se mantiene il 40 (sennò si fa un tie-break col secondo arrivato, un Salvini o un Di Maio, ahah).

Non si nega che dal 35 al 40 ci sia un bel passo avanti, e però si continua a protrarre questo equivoco per cui la democrazia non sarebbe il governo della maggioranza, bensì di Renzi (e se qualcuno ottenesse un po’ di voti in più di lui, cavalcando il malcontento? Questo dev'essere inconcepibile per Matteo Renzi, che comunque en passant intende avocare a sé il controllo della RAI).

Tutto questo Bersani non lo accetta. Può darsi che covi rancore (sappiamo quanto sia umano, anche troppo) ma forse semplicemente è uno all'antica: questa cosa che nel 100 il 40 valga più del 60 non gli entra proprio in testa. Neanche a me, confesso.
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